I militari italiani tornano in Africa

di AFRICA

 

soldato-con-una-arma,-sniper,-deserto-173369Da 16 febbraio al 9 marzo alcuni reparti della forze armate italiane parteciperanno in Ciad a «Flintlock 2015» un’articolata operazione militare multinazionale sotto il Comando Usa. Le operazioni saranno coordinate da un centro interforze nella capitale N’Djamena e si svolgeranno principalmente in Ciad e, secondariamente, anche in Camerun, Niger, Nigeria e Tunisia. All’esercitazione parteciperanno oltre 1.200 militari provenienti da venti Paesi: oltre all’Italia, Belgio, Burkina Faso, Danimarca, Canada, Ciad, Estonia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Lituania, Mali, Mauritania, Norvegia, Olanda, Repubblica Ceca, Senegal, Spagna, Stati Uniti e Svezia.

Dimenticata l’esperienza coloniale e lasciate alle spalle le missioni in Somalia e in Mozambico degli anni Novanta, l’Africa ha assunto un valore strategico per la nostra politica di difesa sia per difendere i propri interessi commerciali, sia per tenere sotto controllo i movimenti del fondamentalismo islamico e i flussi migratori.

È in questo quadro che nel 2013 Roma ha deciso di creare una base militare nel piccolo Stato di Gibuti. In appena due mesi i nostri genieri hanno costruito una caserma in grado di ospitare fino a 300 militari italiani. Si trova in pieno deserto, a soli sette chilometri dal confine con la Somalia e a poca distanza dall’aeroporto internazionale utilizzato anche dai militari statunitensi della grande base di Camp Lemmonier e dai francesi, che nel Paese africano schierano ancora un reparto della Legione Straniera.

Sulla realizzazione della base, la Difesa ha sempre mantenuto un basso profilo (ed è per questo che la notizia è passata quasi inosservata) anche se gli accordi stipulati l’anno scorso tra i due Governi erano stati resi noti da fonti diplomatiche africane. L’infrastruttura è la prima base logistica operativa delle forze armate italiane fuori dai confini nazionali dalla fine della seconda guerra mondiale e ospita i nuclei di protezione dei fucilieri di Marina destinati all’imbarco sui mercantili in transito diretti nell’Oceano Indiano, ma anche team di forze speciali pronti a vari tipi di interventi, dall’antiterrorismo alla liberazione di ostaggi. La base costa all’Erario italiano circa tre milioni di euro a annui.

In Somalia, non lontano da Gibuti, è poi stato dispiegato un reparto dei paracadutisti della Folgore in appoggio alla missione dell’Unione Europea che addestra le neocostituite forze di sicurezza somale. Istituita nel gennaio 2010, la missione è stata attiva per tre anni in Uganda, dove ha addestrato tremila militari somali (un quarto dell’intero esercito somalo), per poi estendersi a Mogadiscio, dove svolge anche il compito di difendere la nostra rappresentanza diplomatica.

Nel corso del 2014 la Difesa italiana ha inviato un piccolo contingente a Bangui, nella Repubblica centrafricana. Tra i suoi compiti: garantire la mobilità delle forze europee, la bonifica di residuati bellici e la realizzazione di lavori infrastrutturali di base in favore dei civili e del governo locale. Dovrà inoltre monitorare un importante progetto di ricostruzione di un ponte, finanziato dall’Ue e affidato a imprese locali.

L’Italia però non si limita a inviare truppe di terra. Nel 2014 ha schierato in Africa i propri droni Predator. Due sono di base a Gibuti e sono utilizzati per controllare le acque dello Stretto di Aden in funzione antipirateria. Altri due in Ciad, dove già esiste una base di droni statunitensi. Qui dovrebbero fornire appoggio aereo alle operazioni sul campo dei militari schierati in Centrafrica, ma anche monitorare il vicino Niger e, soprattutto, il Sud della Libia, aree estremamente sensibili anche per gli interessi italiani (terrorismo islamico, traffico di stupefacenti, contrabbando di sigarette, flussi migratori).

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