I muri di sabbia che dividono il Sahara

di claudia

di Federico Monica

I confini che separano gli stati sahariani non sono più soltanto surreali linee rette sulle carte geografiche, negli ultimi anni una serie di imponenti muri di sabbia segnano le frontiere, impedendo il passaggio di automezzi e persone se non nei varchi autorizzati e presidiati. Migliaia di chilometri di barriere che ridisegnano geografie, relazioni e migrazioni.

Jorge Luis Borges in uno dei suoi racconti narra di un sovrano di Babilonia che per sbeffeggiare un re beduino lo abbandonò in un labirinto intricatissimo nei suoi giardini. Il re beduino riuscì ad uscirne soltanto a sera inoltrata, umiliato e offeso e promise al babilonese che un giorno gli avrebbe mostrato un labirinto ben più grande e inestricabile di quello. Tempo dopo con i suoi guerrieri conquistò Babilonia, imprigionò il sovrano e lo abbandonò a morire di sete in mezzo al deserto: “ecco il mio labirinto, dove non ci sono scale da salire, né porte da forzare, né faticosi corridoi da percorrere, né muri che ti vietano il passo”.

Tutto cambia, e oggi anche il Sahara non è più soltanto una distesa sterminata di sabbia in cui non esistono confini se non sulle carte, ma proprio come un gigante labirinto inizia a popolarsi sempre più di muri, fossati e barriere che bloccano piste e itinerari antichissimi.

Già all’epoca dei Romani il “Limes”, il confine meridionale dell’impero, era spesso fortificato con terrapieni, muri in pietra e fortezze di cui restano tracce importanti in Egitto, Algeria, Libia e Tunisia, ma da allora bisognerà attendere quasi duemila anni per vedere sorgere opere di difesa così imponenti.

A raccogliere e riproporre l’idea dei Cesari è il Marocco che a partire dal 1980 inizia la costruzione dell’immenso muro che taglia in due il Sahara Occidentale. Una barriera nata durante il conflitto col fronte Polisario e via via ampliata che oggi raggiunge i 2700 chilometri di estensione circoscrivendo tutte le città e le miniere principali nonché gli accessi al mare, circa l’80% dell’estensione dell’ex colonia spagnola del Sahara Occidentale.

Il muro è una barriera di sabbia alta fra i due e i tre metri costellata da vedette e posti di guardia e in buona parte da campi minati, tanto che è considerato la zona minata di maggior estensione longitudinale al mondo.
Negli ultimi anni però l’idea di una barriera che possa rendere più ermetici confini tradizionalmente inesistenti ha affascinato sempre più paesi Sahariani a partire da Egitto e Tunisia, che hanno costruito barriere di alcune centinaia di chilometri lungo i confini con la Libia nei periodi di maggior instabilità. Ma nella stessa Libia i muri di sabbia sono utilizzati dagli attori del conflitto come strumento di difesa, è così che le milizie del generale Haftar hanno circondato la roccaforte di Sirte conquistata nel 2020 con un alto terrapieno in modo da controllare tutti gli accessi alla città.

L’esempio più importante è però quello dell’Algeria: negli ultimi dieci anni Algeri ha costruito una grande barriera di sabbia alta fra i tre e i cinque metri e costeggiata da una pista costantemente pattugliata su gran parte dei propri confini. C’è chi ha provato a fare un conto, come Remy Carayol e Laurent Gagnol, autori di un recente reportage sul tema su “Le Monde Diplomatique”. Il risultato è notevole: oltre 6700 chilometri di muro, una cifra di poco inferiore all’estensione della grande muraglia cinese. I motivi? Sicurezza interna innanzitutto, a causa dell’instabilità ormai cronica delle regioni nel nord del Mali e del Niger, il timore di attacchi al settore strategico delle estrazioni del gas, ma anche la riduzione dei flussi migratori. I migranti dai paesi sub-sahariani a causa delle barriere faticano sempre più a trovare varchi non presidiati e restano intrappolati nel deserto per lunghi periodi, in condizioni precarie e in balia della polizia di frontiera o di trafficanti senza scrupoli.

È così che queste sterminate montagne di sabbia che disegnano nuove geografie nel cuore del deserto ci coinvolgono in prima persona: al di là delle motivazioni di sicurezza questi muri sembrano essere ormai i veri e propri confini dell’Europa. Confini ben nascosti, isolati e lontani dai nostri occhi, quindi ottimi per mantenere pulita la nostra coscienza, costi quel che costi.

Foto di apertura: Marco Trovato

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