La corsa alla terra sta continuando. Anzi, corre sempre più veloce anche verso l’Africa, il continente che custodisce il 60% delle terre non coltivate e tra le più ambite del globo.
Un notevole aggiornamento sullo spinoso tema dell’accaparramento delle terre, con una particolare attenzione a situazioni africane, è fornito dal terzo rapporto sull’argomento elaborato dalla Focsiv, la più grande federazione di organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana. “I padroni della Terra”, a cura di Andrea Stocchiero, Policy officer di Focsiv, è un documento denso di dati, denunce, riflessioni, consigli e analisi delle conseguenze del land grabbing sui diritti umani, ambiente e migrazioni.
79 milioni di ettari a grandi imprese, società finanziarie e Stati a danno delle comunità di contadini locali
Dalla visione globale, emerge subito un dato certo: la terra suscita appetiti sempre maggiori. Paragonando i dati dei rapporti 2019 (relativo al 2018) e 2020 (relativo all’anno scorso) sulla base dei numeri della banca dati di Land Matrix, sono stati otto milioni gli ettari di terreno supplementari oggetto di interesse commerciale. Otto milioni che fanno parte dei 79 milioni di ettari al centro di 2.100 contratti di acquisto o affitto della terra – secondo un dato cumulativo degli ultimi dieci anni – da parte di grandi imprese, società finanziarie e Stati, a danno delle comunità di contadini locali e dei popoli indigeni, nel quadro della competizione globale per le risorse naturali.
Se i grandi Paesi investitori, su scala globale, si [cc1] confermano la Cina, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Svizzera, il Canada, la Russia, i Paesi target in Africa sono soprattutto la Repubblica Democratica del Congo (Rdc), il Sudan, il Sud-Sudan, il Mozambico e Madagascar.
Alla Rdc, il rapporto Focsiv dedica un intero capitolo: la “battery economy” e le violazioni dei diritti umani nel caso della filiera cobalto. Il land grabbing, nel documento Focsiv, non si limita infatti alle più ‘consuete’ vicende di agri-business, ma amplia il discorso all’industria mineraria, allo sviluppo industriale e anche – lo vedremo in un prossimo articolo – ai conflitti e alle migrazioni forzate.
Cobalto, il minerale del futuro che alimenta corruzione e land grabbing
Circa il 70% della produzione mondiale di cobalto proviene dalla provincia del Lualaba (parte dell’ex-Katanga), nel sud dell’ex Zaire. A causa del boom della domanda di batterie agli ioni di litio, la domanda di cobalto, in quanto componente fondamentale, ha subito un aumento esponenziale negli ultimi anni, triplicando tra il 2010 e il 2016, mentre le stime prevedono un’ulteriore crescita del 64% entro il 2025. Il minerale strategico è quindi fondamentale per il passaggio alla tecnologia “verde” atteso da tempo è salutato come una buona notizia. «La configurazione attuale della battery economy, in particolare della catena del valore che genera le batterie, non potrà essere considerata pienamente “pulita” o “responsabile” fino a quando non verranno affrontati in maniera sistemica i problemi legati all’approvvigionamento di alcune delle materie prime fondamentali della filiera, tra cui il cobalto» tuonano gli autori del rapporto.
«Anni di pratiche industriali mal regolate soprattutto a monte della catena (upstream), hanno generato e continuano a generare un impatto fortemente negativo sui diritti umani e sull’ambiente. Amnesty International, Greenpeace e Human Rights Watch, a livello globale, e Good Shepherd International Foundation e Bon Pasteur Kolwezi (GSIF-BP), a livello locale nella Rdc hanno documentato diversi casi di land grabbing, di violazione di diritti umani, tra cui espropri e devastazione ambientale, lavoro minorile e diffusa violenza di genere, associati all’estrazione di cobalto, litio e nichel, materie prime necessarie alla produzione delle batterie agli ioni di litio. L’organizzazione Transparency International nel 2019 ha dichiarato che il cobalto alimenta uno dei più vasti sistemi di corruzione di cui la classe dirigente della Rdc è al centro e ne trae vantaggio. (…) All’impossibilità di svolgere le attività minerarie all’interno di un quadro di legalità, si aggiunge il caso significativo e controverso del land grabbing che interessa numerosi villaggi di minatori, spesso neanche mappati dal catasto, ma preesistenti all’acquisizione delle concessioni da parte delle compagnie internazionali, come conseguenza del Codice Minerario del 2002. A livello teorico, in questi casi il Codice prevede il coinvolgimento delle comunità locali nelle decisioni riguardanti lo sfruttamento delle risorse, la compensazione per gli eventuali danneggiamenti e obbliga le compagnie a investire in infrastrutture e nello sviluppo socio-economico del territorio. La realtà di molti villaggi minerari enclaves nelle concessioni minerarie attorno a Kolwezi, è tuttavia ben diversa. Le condizioni delle comunità sono caratterizzate da una totale mancanza di infrastrutture e servizi igienici e da condizioni simili al lavoro forzato per i minatori artigianali. A questi ultimi è negata la possibilità di vendere i minerali al di fuori della concessione e sono costretti ad accettare il prezzo imposto dalla compagnia concessionaria. Gli abitanti di queste comunità sono infine sotto costante rischio di ricollocazione forzata organizzata dalle compagnie minerarie, spesso in collusione con l’autorità pubblica».
Pandemie e land grabbing
Presentato a fine ottobre alla Camera dei Deputati, “I padroni della Terra” 2020 continua la riflessione dei due rapporti precedenti, ampliando lo sguardo ai legami dell’accaparramento della terra con le pandemie, come quella recentissima del coronavirus, e alla «necessità e urgenza di cambiare il paradigma sviluppista-estrattivista, per un modello di buen vivir realmente sostenibile». Il modello economico in atto, affermano gli analisti di Focsiv, «è quello dell’estrattivismo: imprese, finanza e Stati che cercano di sfruttare al massimo le risorse della terra per fare profitto, inducendo e soddisfacendo il desiderio di consumo del mondo ricco ed emergente. Questo fenomeno però produce scarti, rifiuti, umani e materiali, inquinamenti, veleni ed emissioni di gas serra, terre ed acque morte». La corsa alla terra coinvolge nuovi investimenti su grandi appezzamenti per la produzione di monoculture per l’alimentazione umana e animale, di biocarburanti, per piantagioni e il taglio di foreste, per l’estrazione mineraria, per progetti industriali e turistici, per l’urbanizzazione. Investimenti che fanno perdere biodiversità e contribuiscono al riscaldamento del pianeta. «Questi due fenomeni creano le condizioni per la mutazione e diffusione di virus che possono sfociare in pandemie (…) Un recente rapporto del WWF mette in evidenza come “Molte delle cosiddette malattie emergenti – come Ebola, AIDS, SARS, influenza aviaria, influenza suina eoggi il nuovo coronavirus (SARS-CoV-2 definito in precedenza come COVID-19) non sono eventi e catastrofi casuali, ma la conseguenza del nostro impatto sugli ecosistemi naturali».
(Céline Camoin)
Considerati il volume e l’importanza del rapporto, torneremo presto su altri contenuti de “ I padroni della Terra” in prossimi focus di Africa.