Ibrahima Lo, scrittore in erba a cui l’Italia ha vietato di studiare

di claudia

Il giovane Ibrahima è arrivato dal Senegal in Italia come minore non accompagnato. Vorrebbe solo studiare ma, una volta compiuti diciotto anni, si scontra con la legge che non tutela in questo i neo-maggiorenni stranieri: per lui non c’è scampo, l’unica prospettiva è il lavoro. Dopo numerose difficoltà, il riscatto: a Febbraio ha pubblicato il suo primo libro

di Michela FantozziNuoveRadici.wolrd

Ibrahima Lo ha 17 anni quando nel luglio del 2017, dopo aver attraversato il Niger, la Libia e il Mediterraneo, arriva in Italia. Aveva perso i genitori in Senegal qualche anno prima, sentiva di non avere prospettive nel contesto in cui viveva e per questo aveva deciso di partire, intraprendendo un viaggio di cui sapeva poco.

All’arrivo in Italia a Bari, ottiene il permesso di soggiorno in quanto minore non accompagnato e viene trasferito in un centro di accoglienza a Mestre, in provincia di Venezia. Vorrebbe studiare e diventare giornalista ma, essendo quasi maggiorenne, per lui non c’è scampo, l’unica prospettiva è il lavoro. Non importa se non conosce la lingua e la società in cui è approdato, il dramma di una buona legge come quella Zampa, ci spiegano gli esperti, è che allo scoccare della mezzanotte dei diciotto anni si viene automaticamente trattati come adulti. Assistenti sociali e tutori gli vengono tolti e Ibrahima si ritrova da un giorno all’altro in mezzo alla strada. Trovare un’occupazione diventa il suo chiodo fisso: lavora tanto a condizioni pessime, ma non abbandona gli studi, continua a frequentare le scuole serali. Oggi va al liceo, è invitato a parlare in svariati eventi e ha pubblicato un libro a febbraio 2021, edito da Villaggio Maori, dal titolo Pane e acqua.

Il desiderio di studiare

Il percorso di Ibrahima in Italia non è stato facile. Viene traferito al centro di Tessara, vicino Mestre, dove è affiancato da un assistente sociale e un tutore. Nonostante il desiderio di studiare, Ibrahima scopre che non può farlo: “Mi dissero che non rientravo nei criteri del permesso di soggiorno per studio, che era previsto solo per gli studi universitari mentre io dovevo ancora prendere la licenza media”. La legge Zampa per i minori stranieri non accompagnati prevede un permesso di soggiorno per motivi di studio, in qualsiasi punto del percorso scolastico ci si trovi e che possa essere rinnovato anche con il raggiungimento della maggiore età. “Il dramma per un neo maggiorenne straniero è che non esiste nessun tipo di sostegno o tutela se desidera studiare”.

È vero, il permesso per motivi di studio parifica lo status giuridico di tutti i ragazzi, italiani o meno: è possibile fare domanda per la borsa di studio dell’Inps, ad esempio. Ma il vero discrimine è rappresentato dalla famiglia e dalla cittadinanza: la prima è un sostegno costante nella soddisfazione dei bisogni primari, dall’alloggio al vitto, mentre la seconda concede la possibilità di lavorare liberamente anche mentre si studia. Per uno studente senza cittadinanza, infatti, il problema del permesso per motivi di studio è il limite delle ore di lavoro che può svolgere, che è pari a venti. Questo rende pressoché impossibile per un ex minore non accompagnato proseguire il suo percorso come un giovane coetaneo italiano.

Il riscatto

“Io sono uscito dal centro di accoglienza con l’idea che dovessi assolutamente lavorare per restare” racconta Ibrahima. “Non ho comunque rinunciato agli studi, anche se non è stato facile. Ero piccolo, non sapevo cosa fare, in un Paese che non conoscevo. E non potevo non lavorare, senza il lavoro non potevo mangiare o pagare l’affitto”.

“L’orario di lavoro era impossibile, dovevo uscire una o due ore prima da scuola e dopo il lavoro cercavo di fare i compiti in treno. A volte ho saltato la fermata per quanto ero concentrato”, spiega Ibrahima. “Altre non ce la facevo dalla stanchezza. A quest’ora avrei già dovuto essere all’università, ma con tutta questa fatica non sono riuscito ad arrivarci”. Nonostante le difficoltà legate al permesso, che gli sono costate tempo e serenità, quella di Ibrahima Lo resta una storia di successo, di un ragazzo che ha trovato il suo riscatto grazie allo studio.

La scrittura

«Sono rimasto ferito dalla retorica che gira in Italia riguardo alla Libia, quando dicono che non c’è pericolo» racconta. «Mi faceva stare male e arrabbiare. Mi sono detto che non potevo stare zitto». Così decide di scrivere la sua tesina per l’esame di terza media sul viaggio dal Senegal all’Italia. E da lì si apre un’opportunità inaspettata: «Un professore è rimasto colpito e mi ha chiesto se fossi disponibile a parlare a un gruppo di scout della mia esperienza, e così ho iniziato a parlare».

Ha iniziato e non ha più smesso. Impegni di volontariato, incontri con le scuole ed eventi on line sono diventati il suo pane quotidiano. È andato avanti con lo studio, guadagnando tempo anche a causa delle chiusure imposte dall’emergenza sanitaria: «Da un anno il ristorante per il quale lavoro è chiuso a causa del Covid. Questo mi ha permesso di dedicarmi interamente allo studio e alla scrittura del libro che ho già pubblicato» racconta soddisfatto.

L’idea del libro è nata un anno fa, dopo la lettura di Il mio Afghanistan, di Gholam Najafi «Il mio Afghanistan mi ha colpito molto e così ho deciso di scriverne anch’io uno sulla mia storia. Ho rivisto il testo con l’aiuto di un’amica e poi ho passato il libro alla casa editrice Villaggio Maori, che ha accettato di pubblicarlo. È stato per me un traguardo importante». Ibrahima però non si ferma e guarda già al prossimo obiettivo: «Sto lavorando al mio secondo libro» aggiunge. «Che parlerà di colonialismo e sfruttamento dei bambini. Sogno di diventare giornalista e anche di avviare dei progetti in Senegal per informare i ragazzi sui rischi del viaggio con i trafficanti, quelli che io non conoscevo prima di partire. Spero di laurearmi il prima possibile, ho perso tanti anni. Devo cercare di fare in fretta».

(Michela Fantozzi – NuoveRadici)

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