di Andrea Spinelli Barrile
La ricerca disperata di un lavoro è il fattore principale che spinge le persone a unirsi ai gruppi estremisti violenti, in rapida crescita in tutta l’Africa subsahariana. Lo rivela un nuovo rapporto presentato nei giorni scorsi dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp).
Il report si basa su oltre 2.200 interviste, ex-miliziani di gruppi islamisti operanti in Africa subsahariana: un quarto di loro, reclute volontarie, ha citato le opportunità di lavoro come motivo principale per aderire al gruppo estremista, mentre il 40% ha dichiarato che al momento del reclutamento aveva urgente bisogno di mezzi di sussistenza. In generale il report riporta un aumento del 92% della capacità di reclutamento di questi gruppi armati.
La religione è la terza ragione che spiega l’adesione ai gruppi, citata dal 17% degli intervistati, dato in diminuzione del 57% rispetto ai risultati di un sondaggio simile di Undp del 2017. La maggioranza delle reclute ammette di avere una conoscenza limitata dei testi religiosi. Quasi la metà degli intervistati ha citato uno specifico evento scatenante che li ha convinti a unirsi a gruppi estremisti violenti, con un sorprendente 71% che indica come tale evento una violazione dei diritti umani, spesso condotta dalle forze di sicurezza dello Stato, come “il punto di svolta”.
“L’Africa sub-sahariana è diventata il nuovo epicentro globale dell’estremismo violento, con il 48% delle morti per terrorismo globale nel 2021. Questa ondata non solo ha un impatto negativo sulle vite, sulla sicurezza e sulla pace, ma minaccia anche di invertire i guadagni di sviluppo conquistati a fatica per le generazioni a venire. Le risposte antiterrorismo guidate dalla sicurezza sono spesso costose e poco efficaci, ma gli investimenti in approcci preventivi all’estremismo violento sono tristemente inadeguati. Il contratto sociale tra Stati e cittadini deve essere rinvigorito per affrontare le cause profonde dell’estremismo violento” si legge nell’abstract del rapporto di Undp.
Il report, intitolato “Journey to Extremism in Africa: Pathways to Recruitment and Disengagement”, è stato sviluppato grazie a migliaia di interviste prese in otto paesi africani: Burkina Faso, Camerun, Ciad, Mali, Niger, Nigeria, Somalia e Sudan. Più di 1.000 intervistati sono ex membri di gruppi estremisti violenti, sia reclute volontarie che forzate. Il rapporto esplora i percorsi per uscire dall’estremismo violento, identificando i fattori che spingono le reclute ad abbandonare le armi: gli intervistati citano perlopiù le aspettative non soddisfatte, in particolare le aspettative finanziarie, e la mancanza di fiducia nella leadership del gruppo come i motivi principali per l’abbandono delle armi.
Per contrastare e prevenire l’estremismo violento, il rapporto raccomanda maggiori investimenti nei servizi di base, compreso il benessere dei bambini, la formazione scolastica, i mezzi di sussistenza di qualità e gli investimenti nei giovani uomini e donne.