Di Federico Pani – Centro studi AMIStaDeS
L’intensificarsi del cambiamento climatico nel Sahel, già alle prese con una lotta per le risorse, potrà aumentare il rischio di nuovi conflitti? Negli ultimi anni sempre più esperti hanno ipotizzato e dimostrato il collegamento tra i cambiamenti climatici e l’aumento degli scontri armati. Secondo un recente studio pubblicato su Nature l’intensificazione dei cambiamenti climatici porterà all’aumento delle tensioni.
In Africa i danni generati dalla crisi ambientale vanno ad intrecciarsi alla fragilità economica di cui soffre il continente. L’intreccio dei due fenomeni potrà così risultare devastante: il cambiamento climatico sta’ già generando conflitti, alimentati dall’espansione di formazioni legate al terrorismo. In alcune aree il surriscaldamento globale ha infatti favorito l’insorgenza di gruppi armati soprattutto di matrice islamista.
Ne è un esempio il Sahel, regione che si estende attraverso il continente africano nella zona al di sotto del deserto del Sahara. In quest’area i recenti cambiamenti climatici stanno incrementando le temperature e i fenomeni di siccità, che hanno favorito l’insorgere e il moltiplicarsi dell’attività di Boko Haram, movimento estremista islamista nato negli anni 2000 nel nord della Nigeria.
Lago Ciad, area martoriata dal cambiamento climatico e da Boko Haram.
Il cambiamento climatico ha drasticamente ridimensionato le prospettive economiche dei giovani nella zona del Sahel e li ha resi di fatto più vulnerabili e suscettibili al reclutamento da parte degli estremisti violenti. Boko Haram ha approfittato della tragedia ambientale allargando le maglie del Califfato d’Africa, portando il jihad dalla Nigeria in Niger, Camerun e Ciad.
Proprio sull’isola di Yiga, nel cuore del lago Ciad, le temperature raggiungono i 50 gradi. Seduto all’interno di una capanna c’è il capo della comunità, il boulama Motoye Dogouroumi, che spiega: “Ci siamo rifugiati su quest’isola dopo che i terroristi di Boko Haram sono arrivati nel nostro villaggio”. Le condizioni di vita sono drammatiche. “La sola acqua che beviamo”, prosegue l’uomo, “è quella del lago, che spesso causa dolori di stomaco e malattie, perché non è pulita”. La crisi che sta colpendo la regione saheliana non è soltanto una catastrofe ambientale: la popolazione è vessata, infatti, anche dall’espansione dello jihadismo di Boko Haram, come conferma Ahmat Yacoub, presidente e fondatore del Centro di studi per lo sviluppo e la prevenzione dell’estremismo, primo centro di de-radicalizzazione che mira a combattere lo jihadismo e il proselitismo islamista attraverso un lavoro di sensibilizzazione e informazione culturale.
Ahmat non ha dubbi: “Il terrorismo della setta jihadista Boko Haram ha approfittato di questa situazione di crisi per penetrare nella regione del lago, fare proselitismo, reclutare nuovi combattenti e nuovi affiliati ed espandere i confini del califfato in Africa occidentale”, afferma infatti Yacoub. L’avanzata del deserto, la mancanza di acqua, di cibo, di infrastrutture ha portato le popolazioni a vedere nello jihadismo l’estremo appiglio alla loro sopravvivenza. Sebbene i risultati della ricerca sulla relazione tra clima e conflitto siano diversi e controversi, alcuni esperti concordano sul fatto che il clima abbia influenzato i conflitti armati organizzati all’interno dei Paesi. Povertà, cambiamento climatico, scarsità di risorse, collasso delle istituzioni statali e mancanza di servizi di base rappresentano infatti un’opportunità per il terrorismo e gruppi armati locali per sostituirsi all’apparato statale e detenere il controllo delle risorse.
Quale Road Map per il futuro?
Gli scienziati prevedono che mentre ovunque il mondo continua a riscaldarsi, il Sahel sarà la zona in cui le temperature aumenteranno 1,5 volte più velocemente della media globale. Ciò significa anche che una popolazione in continua crescita si vedrà costretta a spartirsi una fetta più piccola di risorse economiche, preda succulente, queste ultime, per i gruppi terroristici. Il conflitto dunque potrebbe esplodere in maniera inevitabile.
In ottica futura appare imprescindibile cogliere le opportunità per l’azione climatica e la costruzione della pace perché si rafforzino a vicenda: entrambe condividono molti degli stessi obiettivi, vale a dire società resilienti, giuste e inclusive. In questa direzione risulteranno essere fondamentali i partenariati multidimensionali che collegano il lavoro delle Nazioni Unite, delle organizzazioni regionali, degli Stati membri, delle istituzioni finanziarie internazionali, della società civile, del settore privato, nonché dei ricercatori internazionali e locali.
Per evitare che i cambiamenti climatici sfocino in conflitti occorre lavorare in sinergia con le comunità cercando di promuovere un uso più responsabile delle risorse, arginando le conseguenze di fenomeni meteorologici estremi e rafforzando le capacità di resilienza delle comunità rurali.
Fonti:
Katharine J. Mach; Climate as a risk factor for armed conflict; Nature; 12 giugno 2019.
https://www.nature.com/articles/s41586-019-1300-6
La risposta alla crisi climatica in Africa non corrisponde all’entità della sfida; GreenReport; 13 ottobre 2022.
Daniele Bellocchio; Cambiamenti climatici in Africa: problemi ambientali e sociali devastanti: Osservatorio dei diritti; 2020.
Daniele Bellocchio; Sulle sponde del lago Ciad, la crisi umanitaria più complessa dei nostri giorni; Lifegate; 25 luglio 2019.
https://www.lifegate.it/lago-ciad-reportage
Paolo Zucconi; Ciad, tra Boko Haram e cambiamento climatico; Osservatorio analitico; 25 luglio 2019.
http://www.osservatorioanalitico.com/?p=9365
Rachel Chason; How climate change inflames extremist insurgency in Africa; The Washington Post; 1 luglio 2023.
https://www.washingtonpost.com/world/interactive/2023/climate-change-extremism-boko-haram/