Il Ciad tra violenze agropastorali e questioni di potere

di claudia

di Céline Camoin

Il numero di conflitti agropastorali ha raggiunto un livello senza precedenti nel Ciad meridionale e centrale durante il periodo di transizione politica (2021-2024), secondo l’International Crisis Group (Icg), che ha da poco pubblicato un approfondimento sull’argomento. Queste violenze, che hanno provocato più di mille morti e più di 2.000 feriti, rafforzano la percezione di un divario tra il nord e il sud del Paese, scrive il centro analisi.

Secondo le popolazioni sedentarie del sud e del centro, questi conflitti derivano dall’aumento del numero dei proprietari di bestiame provenienti dal nord e protetti dal potere centrale. Le loro rimostranze, rafforzate da un’elezione presidenziale opaca e contestata nel maggio 2024, potrebbero portarli a farsi giustizia da soli.

Motivati ​​da forti esigenze di identità, alcuni allevatori ora usano armi da guerra. Senza risposte adeguate, le fratture comunitarie potrebbero portare le popolazioni sedentarie a formare milizie di autodifesa e accentuare le divisioni tra i ciadiani, mette in guardia l’Icg, che invita il presidente Mahamat Deby Itno a dare priorità alla risoluzione di questi conflitti. Dovrebbe mettere in atto misure di sicurezza per frenare l’uso delle armi da fuoco e prevenire l’emergere di milizie di autodifesa, e sostenere iniziative sostenibili che coinvolgano le popolazioni colpite per facilitare la mediazione dei conflitti e il perseguimento dei responsabili dei crimini.

All’inizio della transizione, dopo la morte del padre e predecessore dell’attuale presidente, gran parte delle comunità del sud, che rappresentano circa il 60% della popolazione ciadiana, speravano in un’alternanza ai vertici dello Stato, dominato dagli anni ‘80 dalle élite del nord, in particolare i gruppi Zaghawa (di cui i Deby, padre e figlio, fanno parte), Gorane e gli Arabi. Secondo le popolazioni del sud, questo cambiamento alla guida dello Stato avrebbe dovuto portare una maggiore autonomia regionale, o addirittura compiere un primo passo verso il federalismo. Doveva essere anche l’occasione per porre fine a ciò che gran parte delle popolazioni del Sud percepiscono come una monopolizzazione clanica e nepotistica dell’apparato statale.

Mahamat Déby Itno
Mahamat Deby

Ma le misure adottate dalle autorità transitorie non sono andate in questa direzione. Da un lato, la nuova costituzione, approvata con referendum nel dicembre 2023, ha mantenuto un modello statale unitario e centralizzato, anche se questa legge fondamentale rivista apporta una leggera dose di decentramento. D’altra parte, i tre oppositori meridionali nominati Primo Ministro durante la transizione – Albert Pahimi Padacké, Saleh Kebzabo e Succes Masra – non hanno fatto della risoluzione delle rivendicazioni delle popolazioni sedentarie. Sotto Mahamat Deby, il numero dei proprietari di bestiame del nord è ulteriormente aumentato, così come il numero di armi – in particolare provenienti dalla Repubblica Centrafricana – messe a disposizione dei pastori. Ciò ha rafforzato nelle popolazioni sedentarie del Sud e del Centro l’idea che le élite del Nord avessero approfittato della transizione per rafforzare il loro controllo sull’apparato statale a livello locale, anche attraverso l’uso della forza.

Di fronte allo scoppio della violenza, il governo centrale ha attuato, a partire dal 2022, misure molto pubblicizzate ma in gran parte insufficienti. Dopo gli eventi, le delegazioni governative hanno effettuato visite lampo per facilitare la mediazione tra le comunità coinvolte. Anche le autorità amministrative e militari che operano in aree sensibili sono state ridistribuite in altre località. Tuttavia, queste iniziative non sono state accompagnate da un rafforzamento dell’apparato di sicurezza e giudiziario richiesto dalle popolazioni. Ancora più importante, non hanno fornito soluzioni durature alla percezione dei pregiudizi statali nei conflitti agropastorali.

Il persistere della violenza agropastorale potrebbe aumentare la tentazione delle popolazioni sedentarie del Sud e del Centro a farsi giustizia da sole. Negli ultimi anni, dopo ogni grave episodio di violenza, molti membri delle comunità sedentarie hanno chiesto, soprattutto sui social network, la creazione di milizie di autodifesa. Lungi dal calmare la situazione, la creazione di tali gruppi rischierebbe di innescare un ciclo di violenza intercomunitaria in queste regioni e di dividere ulteriormente la società ciadiana.

Questi fallimenti hanno contribuito a trasformare un problema regionale in una questione nazionale. Gli eventi di Sandana (provincia del Medio Chari) costituiscono l’esempio più significativo di questa inversione di rotta. Nel febbraio 2022, l’omicidio di tredici persone in questo villaggio del Ciad meridionale da parte di pastori armati ha provocato un’ondata di proteste in tutto il Paese contro le autorità centrali, accusate di proteggere gli autori di questi crimini. I social network hanno svolto un ruolo trainante nella mobilitazione dell’opinione pubblica.

In questo clima teso la stampa ciadiana dà la notizia di un recente conflitto tra agricoltori e allevatori che martedì ha causato la morte di una persona e diversi feriti nel villaggio di Moulori, a sette chilometri a ovest della città di Mao.

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