Da pochi giorni è uscito Un rifugio precario – Breve storia del diritto di asilo in Europa (Helicon), di Sergio Bontempelli, firma ricorrente di Corriere delle Migrazioni, attivista e studioso, ormai da diversi anni, del fenomeno migratorio. A detta dell’autore, si tratta di un volume senza pretese, ma la quantità di note e cenni bibliografici rivelano subito quanto lavoro ci sia dietro.
Il libro arriva in un momento di grande complessità, per quanto concerne i diritti umani, e certamente si presta ad essere uno strumento valido per leggere le sfide del presente.
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rifugio precario
Come nasce l’idea di tracciare la storia del diritto d’asilo in Europa?
«Non sono uno storico di mestiere, ma un attivista, un volontario e un operatore sociale. L’idea di scrivere questo piccolo libro non risponde a un’istanza intellettuale ma nasce da una urgenza tutta politica. Oggi, infatti, il diritto di asilo è sotto attacco, i rifugiati sono oggetto di una delle più furibonde campagne di delegittimazione degli ultimi decenni. Sta passando l’idea che i migranti che attraversano il Mediterraneo non siano “veri profughi”, ma appunto “falsi rifugiati”. Ecco, mi interessava provare a tracciare una storia di questa idea del “falso rifugiato”. Far vedere che non nasce oggi, ma la ritroviamo sin dalle origini del dibattito sull’asilo: ciò significa che non è lo specchio della realtà che vediamo attorno a noi, ma della diffidenza che è dentro di noi. Quando diciamo che i migranti sbarcati in Sicilia sono “falsi profughi”, pensiamo di dire qualcosa sui migranti, ma in realtà stiamo dando voce a uno stereotipo nato un secolo fa».
Addirittura?
«Sì, Il libro si apre con la storia di coloro che possiamo considerare i primi richiedenti asilo della storia contemporanea: gli ebrei che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, fuggirono dalla Russia per sottrarsi alle persecuzioni antisemite degli zar. Arrivati in Inghilterra, suscitarono i malumori e le diffidenze dell’opinione pubblica. Se si leggono i giornali di quel periodo, troviamo discorsi molto simili a quelli che sentiamo oggi in Italia: “Dobbiamo aiutarli a casa loro”, “È giusto accogliere i veri profughi, ma gli ebrei sono falsi rifugiati”, e così via… »
Quanto la burocrazia e lo status giuridico incidono sulle vite delle persone?
« Questo è uno dei fili conduttori del mio lavoro. I controlli migratori, i visti, i permessi di soggiorno, le espulsioni – tutte cose nate in tempi relativamente recenti, più o meno un secolo fa – hanno spinto gli Stati a istituire apparati burocratici specializzati: pensiamo, in Italia, agli uffici immigrazione delle Questure, alle polizie di frontiera, alle Commissioni asilo e così via. Si tratta spesso di amministrazioni opache, sospettose, ostili ai migranti e ai richiedenti asilo. Se guardiamo alla storia, queste burocrazie – formalmente create per dare attuazione alla legge – sono state assai poco inclini al rispetto delle norme, e molto attente invece ad assecondare i timori e i pregiudizi del senso comune. Nel libro faccio diversi esempi, che riguardano sia il passato che il presente. Questi apparati burocratici hanno finito per condizionare le stesse politiche migratorie dei governi e dei parlamenti».
A proposito di politiche migratorie, quali saranno gli effetti del Decreto Sicurezza e Immigrazione?
«Il decreto sicurezza di Salvini sembra proprio dettato dalle urgenze di questa “burocrazia dell’immigrazione”. Di fatto, il decreto cancella il diritto di asilo così come è stato concepito dalla Convenzione di Ginevra in poi: con le nuove norme, infatti, il migrante che chiede protezione diventa una persona sospetta, da tenere sotto controllo, da “sorvegliare e punire”. Si pensi all’abrogazione del diritto alla residenza anagrafica, all’esclusione dall’accoglienza diffusa, al probabile confinamento in luoghi di trattenimento prossimi alla frontiera. Con l’abolizione del permesso di soggiorno umanitario – una delle forme più importanti di “protezione”, cioè di asilo – si demolisce di fatto il diritto al soggiorno in Italia per molti rifugiati di fatto».
(Amalia Chiovaro)