Il futuro poco rosa del lago

di claudia
lago rosa

di Stefania Ragusa

Uno dei gioielli – turistico ma anche economico – del Senegal rischia di perdere il suo fascino. L’attenzione all’ambiente non è il forte di quasi nessun governo al mondo, a quanto pare. Uno sconsiderato, per quanto motivato, piano per difendere Dakar dalle inondazioni rischia di uccidere il Lago Retba. A rischio il turismo, ma anche l’estrazione del sale. Anche se c’è ancora una mezza speranza.

È una delle attrazioni turistiche più rinomate del Senegal e, fino al 2007, è stato il punto d’arrivo del leggendario rally motociclistico Paris-Dakar. La laguna salata Retba, a una manciata di chilometri dall’oceano e a una trentina dalla capitale, è meglio conosciuta come Lac Rose (Lago Rosa). Il soprannome si deve alla colorazione che, per effetto dei pigmenti rilasciati da un’alga (la Dunaliella salina) in risposta ai raggi solari, le sue acque assumono in determinati momenti della giornata. Le membrane cellulari di questa alga contengono pigmenti responsabili delle colorazioni rosso-rosacee (l’intensità cambia in base alla quantità di luce, nei giorni nuvolosi rispecchia il grigio del cielo). Dallo scorso inverno, tuttavia, il lago ha mutato colore: il rosa cangiante ha ceduto il passo a un verde incerto, opaco e poco attraente. Negli ultimi mesi oscilla tra il marrone e l’arancione. E non è stato l’unico cambiamento: il livello delle acque è salito, passando da tre a sei metri e allagando i negozi e le strutture affacciate sulla spiaggia; il grado di salinità, uno dei più alti al mondo (350 gr/litro), è invece drasticamente calato, rendendo impossibile la coltura del sale come praticata fino ad ora.

Un piano sciagurato

I fenomeni, chiaramente correlati, sono una conseguenza dell’applicazione di un piano Orsec (l’equivalente della Protezione civile), varato dal governo senegalese con le migliori intenzioni ma di certo con scarsa lungimiranza. Per fronteggiare le inondazioni stagionali, Orsec ha disposto che le acque reflue dei comuni limitrofi (Keur Massar, Bambilor, Sangalkam…), venissero riversate nel Retba, alterando così tutto l’ecosistema e mettendo a serio rischio le attività che trainavano l’economia della zona: il turismo e l’estrazione del sale.

Sale a rischio

Il lago Rosa, infatti, è una preziosa riserva di sale: la sua concentrazione salina supera – come nel mar Rosso – i 300 grammi per litro (contro i 35 grammi dell’acqua di mare). L’alta densità di salgemma impedisce al lago di prosciugarsi attenuando l’effetto dell’evaporazione, ma permette anche a molte persone di lavorare e guadagnare con la raccolta del sale. Gli uomini, dopo essersi spalmati il corpo con il burro di karité per evitare la disidratazione, si immergono nell’acqua fino alle ascelle per prelevare i pezzi di sale dalla crosta sul fondo. I blocchi vengono quindi caricati sulle piroghe, portati a riva e trasportati con dei secchi dalle donne sulla spiaggia. Qui il sale grezzo e scuro viene ammassato in collinette e lasciato al sole per qualche giorno affinché diventi bianco.

In passato, nei mesi che vanno da maggio a luglio, ossia durante la stagione del sale, si potevano contare fino a duemila racleurs de sel, raschiasale, al lavoro contemporaneamente. Per prima cosa si doveva rompere, con l’aiuto di un lungo bastone, la crosta di sale stratificata sul fondo del lago; poi ci si immergeva per riempire il setaccio. A ogni “viaggio” il carico era in media di una trentina di chili, che venivano scaricati su una barchetta. In nove ore i più bravi portavano a riva anche tre tonnellate di sale. In un anno, è stato calcolato, il raccolto poteva arrivare a 60.000 tonnellate. Un lavoro massacrante, quello dei racleurs, che non a caso i senegalesi avevano smesso di fare, cedendo oneri e qualche onore – per esempio una paga media di 450 euro al mese, relativamente alta per gli standard locali – agli immigrati del Mali e della Guinea. Ma, con una profondità del lago praticamente raddoppiata, diventa quasi impossibile andare a raschiare il sale dal fondo. E infatti di racleurs, sulle rive del Retba, stanno sparendo, o quasi. A rischiare di perdere il lavoro, però, non sono solo loro. Tutti i lavoratori coinvolti nel confezionamento e nella commercializzazione del sale hanno subito pesanti contraccolpi, per non parlare delle donne che collaboravano alla raccolta senza immergersi, fornendo i setacci e svuotandoli.

Custodi irriducibili

Assane M., 24 anni, originario di Conakry, è uno dei pochi che non si è ancora deciso ad andare via. Resiste sulle rive del lago. Aveva lasciato la sua famiglia con l’idea di fare questo lavoro per qualche anno, il tempo di mettere da parte abbastanza denaro per aprire una sua attività in Guinea. È rimasto disoccupato quand’era ancora a metà dell’opera. Adesso, in mancanza di sale, raccoglie gusci di crostacei con una specie di sarchio a denti stretti. Serviranno a preparare un integratore alimentare per i polli e a raccattare qualche soldo. Anche questa è una pratica che non giova al terreno, ma, di fronte ai danni prodotti dalla canalizzazione delle acque reflue verso il lago, appare quasi una piccola cosa.

In realtà potrebbe essere stata proprio la somma di tante piccole cose ad aver reso irreversibile la crisi del Retba. Una crisi cominciata prima di Orsec, quando ancora la bellezza del lago non era stata messa in discussione, mi spiega Seni C., giovane attivista dell’associazione Aarr Lac Rose, che in lingua wolof vuol dire “Salviamo il Lago Rosa”. «La speculazione edilizia che interessa tutta la zona circostante ha suggerito l’opportunità di prosciugare diversi stagni della laguna e di progettare nuovi scarichi nel lago», racconta. «Il delicato equilibro tra acqua salata e acqua dolce, indispensabile per preservare l’ecosistema, ha cominciato a essere messo in forse. Da diversi studi era emersa la necessità di agire in altro modo, ma chi governa non ascolta gli scienziati. Le ultime decisioni hanno fatto precipitare una situazione già precaria e nota».

Foto di Christian Bobst

Lotta contro il tempo

Di recente il ministro senegalese delle Acque e dell’Agricoltura, Serigne Mbaye Thiam, ha annunciato la costruzione di sette bacini di ritenzione, proprio allo scopo di ridurre la quantità di liquidi reflui in ingresso nel Lac Rose e tentare di ripristinare l’ecosistema originario. Il governo ha istituito anche un comitato di sviluppo regionale dedicato alla salvaguardia dell’ecosistema del Retba.

I locali però non si fanno illusioni. «Il lago è minacciato, bisogna agire in fretta per salvare l’ecosistema e i posti di lavoro», mi dice la proprietaria di un albergo non lontano dalla riva. «La mia struttura per fortuna non è stata inghiottita dall’acqua, ma se non verrà salvato il lago i visitatori spariranno». La venditrice di collanine che siede vicino a lei mi mostra un cestino pieno di bim bim, le cinture di microperline che le donne senegalesi indossano sotto i vestiti per aumentare l’appeal erotico. «Gli affari non vanno bene, spero tornino in fretta le acque rosa, e con esse i turisti». Secondo diversi ambientalisti, però, la battaglia non è persa. Bisognerebbe avere il coraggio di fare di questa laguna un’area protetta, com’è accaduto in passato con quella di Somone, al confine tra Ngaparou e Saly. Bisognerebbe cominciare a dare ascolto a quel che dicono gli scienziati.

Questo articolo è uscito sul numero 3/2024 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.

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