Una grande folla si è riunita radunata allo stadio di Nairobi per assistere al giuramento del presidente Uhuru Kenyatta, al suo secondo mandato dopo le elezioni boicottate dall’opposizione. La polizia keniana ha dovuto usare i gas lacrimogeni per disperdere le persone che cercavano di entrare e contestare la sua vittoria.
Con il giuramento di Kenyatta si chiude almeno formalmente una vicenda che avrebbe potuto degenerare in violenze generalizzate. A parte qualche scontro, qualche morto nelle baraccopoli di Nairobi e le proteste di oggi davanti allo stadio dove Kenyatta ha giurato, invece non è successo, per gli standard africani, e keniani in particolare, nulla di gravissimo.
Nel 2007 con sulla scena gli stessi protagonisti: Kenyatta, e i suoi kikuyo, e il suo rivale Odinga con i suoi luo, c’erano stati mille morti e 400mila profughi. Questa volta no. Eppure è successo di tutto: elezioni di agosto annullate dalla Corte Suprema, ripetizione della consultazione con il ritiro, qualche giorno prima, di Odinga e l’invito ai suoi di boicottare le elezioni che si sono tenute ugualmente con, ovviamente un trenta per cento in meno di elettori. Vittoria di Kenyatta e ora il giuramento.
Il Kenya e il suo presidente adesso hanno bisogno di calma e stabilità. il Kenya è un paese cruciale per collocazione geografica e per storia, guarda sull’Oceano Indiano, verso quelle emergenti economie asiatiche che sono fortissime e aggressive dal punto di vista commerciale ed economico. Le sue coste potrebbero essere il luogo cruciale per terminali di materie prime e petrolio del ricco entroterra africano.
Insomma gli appetiti e le possibilità sono enormi. Odinga, l’eterno oppositore, con le proteste di oggi, quelle dei giorni scorsi e quelle che probabilmente continuerà a fare nel futuro, vuole entrare nel gioco. O meglio non ne vuole uscire definitivamente.
(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)