di Valentina Giulia Milani e Stuart Tibaweswa – foto di Stuart Tibaweswa
La schizofrenia del meteo sconvolge le comunità pastorali del Nord Uganda. La vita dei pastori karimojong era scandita dall’alternarsi di stagioni secche e piovose da cui dipendeva la transumanza delle mandrie alla ricerca di pascoli e fonti d’acqua. Oggi i sempre più frequenti periodi di siccità sono interrotti da alluvioni devastanti che mettono in crisi l’allevamento
Una decina di Karimojong avvolti in drappi colorati siede all’ombra di una maestosa acacia nel villaggio di Ariamaoi. Si lavano i denti con piccoli bastoncini e conversano amabilmente, fino a quando non ricevono l’allarme di una possibile incursione di un gruppo di ladri di bestiame. Il loro sguardo si fa più teso, concentrato, e i loro discorsi si concentrano sulla ricerca dei migliori itinerari di pascolo da seguire per evitare l’agguato. Compito non facile, se si considera che diverse piste sono impraticabili per le forti piogge degli ultimi giorni.
La regione del Karamoja, nel nord-est dell’Uganda, abitata da guerrieri pastori, è in balia di condizioni climatiche avverse che stanno diventando sempre più estreme. Negli ultimi anni l’area sperimenta un sensibile cambiamento delle stagioni meteorologiche, con lunghi periodi di siccità alternati a forti precipitazioni concentrate in periodi ristretti, che spesso causano inondazioni.
Incertezza e insicurezza
Questi mutamenti climatici – uniti ad altri shock come l’aumento dei prezzi dei generi alimentari – stanno sconvolgendo lo stile di vita dei Karimojong (pastori di origine nilotica che, migrando dall’Etiopia, si stanziarono in questa regione nel XVIII secolo), che oggi tornano a convivere con l’incubo della carestia. Il 30% della popolazione soffre già di una grave insicurezza alimentare. Le Nazioni Unite informano che 2 milioni di persone sono a rischio. La crisi non fa che acuire le tensioni sociali.
«In questi ultimi mesi stiamo notando un generale aumento di furti e razzie di bestiame», racconta un anziano mettendo in luce anche il progressivo deteriorarsi della sicurezza nella zona. Questa sorta di schizofrenia climatica si riflette infatti nel territorio, rendendo difficile il mantenimento delle mandrie e acuendo i problemi “di sempre”, come la lotta tra clan.
Nell’ottobre 2022, ancora in piena stagione secca, nei distretti di Amudat, Nakapiripirit e Nabilatuk sono giunte precocemente le piogge, che poi sono cadute copiose anche nei distretti di Kotido e di Kaabong. L’incertezza sull’alternarsi delle stagioni rende alquanto difficoltoso per i pastori stabilire le periodiche transumanze. Non va meglio per i campi coltivati: le anomale piogge torrenziali favoriscono l’erosione del suolo, contribuendo alla scarsità dei raccolti.
Vacche svendute
Mathew Lumwinyi, un vecchio karimojong del distretto di Moroto, scuote la testa: «L’incostanza delle precipitazioni sta spingendo molti pastori della nostra comunità ad abbandonare lo stile di vita seminomade. Molti giovani si lanciano nell’agricoltura o in piccole attività commerciali, ma si trovano ad affrontare enormi difficoltà a causa della mancanza di competenze e dei capricci del clima che distrugge i raccolti».
Un tempo, la dieta tradizionale nei villaggi era a base di latte e sangue vaccino, oggi ci si sfama con il sorgo e la manioca. Nel distretto di Kotido, il numero di Karamojong che decidono di vendere il bestiame a causa della carenza di cibo continua a crescere. Un fatto fino a poco tempo fa inimmaginabile, se si pensa che i bovini sono considerati quasi sacri dagli allevatori. «Sono costretto a vendere una vacca a 600.000 scellini ugandesi (circa 171 dollari), meno della metà del suo valore», racconta James Okono, un pastore del distretto di Kotido. «Purtroppo non ho alternativa: devo sfamare la famiglia. Le bestie sono in condizioni pietose perché non hanno un’alimentazione adeguata. I pascoli sono bruciati dal sole e le pozze, prosciugate».
Il terreno della regione è povero di carbonio organico, elemento che svolge un ruolo essenziale nel legare il suolo e nel trattenere l’umidità. L’acqua piovana, nei rari momenti in cui cade abbondante, sparisce in poco tempo. Le mandrie soffrono la siccità. E le alluvioni improvvise hanno il solo effetto di danneggiare il manto erboso.
Tentati di lasciare
«La maggior parte dei pastori attinge l’acqua potabile dalle pompe a mano disseminate in prossimità dei villaggi. Ma i pozzi sono mal tenuti e spesso contaminati dai rifiuti», spiega sconsolato un abitante del distretto di Kotido, dove nella stagione secca la maggior parte dei corsi d’acqua risulta completamente asciutta. «Nei pozzi si diffondono così malattie come il colera e il tifo. Inoltre, l’acqua stagnante contribuisce ad aumentare l’incidenza della malaria». Nel corso degli ultimi vent’anni, il governo ugandese ha costruito nel Karamoja decine di dighe e bacini artificiali per assicurare acqua alla popolazione e alle mandrie durante la stagione secca. Ma oggi la quasi totalità di queste opere si è prosciugata e risulta inattiva.
La temperatura media è cresciuta costantemente dal 1990, i periodi senza pioggia si sono allungati. «È sempre più difficile vivere qui», conclude un mandriano. «La tentazione di andarsene è forte, ma questa è la nostra terra, qui sono sepolti i nostri antenati e qui cresceremo i nostri figli». Ha lo sguardo rivolto verso l’orizzonte, da tempo ha smesso di guardare il cielo.
Questo articolo è uscito sul numero 4/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.