Le autorità keniane vogliono chiudere il campo profughi di Dadaab e hanno chiesto all’Onu di studiare un piano di trasferimento in Somalia delle centinaia di migliaia di persone che vivono nella struttura. Si tratta del primo provvedimento che il Governo di Nairobi ha preso dopo il massacro nell’Università di Garissa rivendicato dai ribelli somali al Shabaab. La notizia è iniziata a circolare domenica ed è stata ripresa da molti quotidiani e da molte agenzie africane lunedì e martedì.
Dadaab è stato aperto nel 1991 per ospitare i rifugiati somali in fuga dalla guerra civile scoppiata dopo la destituzione del dittatore Mohammed Siad Barre. Negli anni il campo è stato progressivamente ingrandito e, attualmente, ospita la maggior parte dei 450mila somali accolti dal Kenya. Già nel 2013 il governo keniano ne aveva chiesto la chiusura dopo l’attacco di al Shabaab al centro commerciale Westgate a Nairobi (attacco che ha lasciato sul terreno almeno 67 morti). Nel novembre dello stesso anno, Kenya, Somalia e Unhcr (l’agenzia Onu per i rifugiati) hanno firmato un accordo congiunto per sostenere il rimpatrio volontario dei somali.
Un rientro, però, troppo lento e rischioso a giudizio del Kenya. Secondo i politici di Nairobi il campo era (e rimane) infatti un terreno fertile e un facile rifugio per i militanti islamici. Da qui la reiterata richiesta di smantellarlo al più presto. Tuttavia, l’Unhcr si è detto profondamente preoccupato per una brusca chiusura di Dadaab. «Una tale mossa avrebbe conseguenze umanitarie e pratiche estreme e rappresenterebbe una violazione degli obblighi internazionali del Kenya – ha spiegato un portavoce dell’Onu -. Riconosciamo l’obbligo del Governo di Nairobi di garantire la sicurezza dei suoi cittadini, ma anche delle altre persone che vivono in Kenya, tra cui i rifugiati». Per questo motivo l’Unhcr ha chiesto al Nairobi di rivedere la sua richiesta. Per il momento però non è ancora arrivata nessuna risposta.