Il lato amaro del cioccolato

di Marco Trovato
cacao cioccolato

Amato in tutto il mondo, il cioccolato ha una storia meno dolce di quanto si pensi. Dalle antiche civiltà mesoamericane alle piantagioni coloniali, la sua produzione è legata a secoli di sfruttamento. Oggi il 75% del cacao proviene dall’Africa occidentale, ma i coltivatori guadagnano pochissimo. Dietro ogni tavoletta si nasconde un’industria multimiliardaria che perpetua profonde disuguaglianze.

di Andrea Bagnoli

Tavolette, tartufi, cioccolatini, praline, orsetti, coniglietti, uova di Pasqua: in tutte le forme e dimensioni, il cioccolato è una delizia apprezzata da adulti e bambini in tutto il mondo. Ma siamo sicuri che la sua storia sia dolce quanto le immagini patinate delle pubblicità? Per comprendere meglio le dinamiche di questa industria, occorre risalire alle origini dell’ingrediente principale del cioccolato: il cacao.

Il frutto degli Dei

Il cacao (Theobroma cacao) è un albero sempreverde che cresce nei climi caldi e umidi. Il suo frutto, la cabossa, contiene dai 30 ai 40 semi avvolti in una polpa bianca (mucillagine), essenziale per il processo di fermentazione, fase cruciale per lo sviluppo dell’aroma del cioccolato.

A lungo si è creduto che il cacao fosse stato addomesticato per la prima volta circa 3.900 anni fa dalle popolazioni mesoamericane, ma recenti studi hanno rivelato la presenza di suoi semi in ciotole di ceramica risalenti a oltre 5.300 anni fa, appartenenti alla civiltà Mayo-Chinchipe, nell’attuale Ecuador.

Sebbene il cacao sia originario della regione amazzonica, fu tra Maya e Aztechi che raggiunse il suo massimo splendore in epoca precolombiana. Un mito azteco racconta che Quetzalcoatl, sceso sulla Terra per donare all’umanità l’agricoltura, la scienza e le arti, si innamorò di una principessa di Tula. Per celebrare le nozze, creò un giardino paradisiaco dove piantò il cacahuaquahitl, l’albero del cacao. Gli altri dei, furiosi per aver concesso agli uomini un frutto sacro, si vendicarono uccidendo la principessa. Le lacrime di Quetzalcoatl inzupparono la terra insanguinata, facendo nascere un albero con il miglior cacao del mondo, “dal frutto amaro come la sofferenza, forte come la virtù e rosso come il sangue della principessa”.

cioccolato
cacao

Il cacao era usato per scopi medicinali, cosmetici e rituali, ma tra gli Aztechi divenne anche moneta di scambio, imponendone il tributo alle province produttrici. Da loro abbiamo ereditato il xocolatl, una bevanda a base di cacao mescolato con mais e spezie, antesignana del cioccolato odierno. Ironia della sorte, il successo della Ferrero e di altri giganti del settore renderebbe increduli i conquistadores spagnoli, che giudicavano il xocolatl “una brodaglia disgustosa”.

Origine americana, sangue africano

Nonostante le iniziali resistenze, il cioccolato conquistò rapidamente le corti europee, soprattutto dopo l’aggiunta dello zucchero di canna, che ne mitigava l’amarezza. In breve tempo, il cacao divenne la principale esportazione agricola dalle Americhe verso l’Europa, superando persino il tabacco. Gli spagnoli e i portoghesi riempirono il continente latinoamericano di piantagioni, sfruttando decine di migliaia di schiavi africani deportati con violenza e costretti a lavorare in condizioni disumane. Il costo della manodopera ridotto a zero grazie alla schiavitù alimentò enormi profitti per pochi europei, consolidando un modello economico di sfruttamento che, in forme diverse, persiste ancora oggi.

Sebbene Papa Paolo III condannò la schiavitù degli indigeni americani nel 1537, la Chiesa rimase in silenzio sul traffico di schiavi africani, che per tre secoli fu il fulcro dell’economia europea. Spagnoli e portoghesi iniziarono ad acquistare prigionieri dai re delle coste dell’Africa occidentale, deportandoli nelle piantagioni di cacao, zucchero e caffè del Nuovo Mondo. Questo sistema generò ricchezze immense, fondando dinastie economiche tuttora esistenti. Il commercio triangolare atlantico – merci europee in cambio di schiavi africani, venduti nelle Americhe per ottenere materie prime – plasmò le fondamenta del capitalismo moderno, perpetuando l’asimmetria coloniale.

Si stima che oltre 12 milioni di africani siano stati deportati in tre secoli, di cui il 25-28% morì durante la traversata, portando il numero reale dei rapiti oltre i 15 milioni. Con la fine formale della schiavitù nel XIX secolo e l’indipendenza di Brasile e colonie spagnole, il cacao compì il viaggio inverso rispetto agli schiavi, approdando nel Golfo di Guinea, in particolare in Ghana e sulle isole di São Tomé e Príncipe. Sebbene la tratta fosse abolita, il lavoro forzato di milioni di africani continuò, soprattutto nelle roças portoghesi di São Tomé, che nel 1908 divenne il maggior produttore mondiale di cacao. Seguendo l’esempio, inglesi e francesi investirono enormi capitali per espandere la produzione nelle loro colonie dell’Africa occidentale.

Dolce per alcuni, amarissimo per altri

Oggi, il 75% del cacao mondiale proviene da quattro paesi africani – Costa d’Avorio, Ghana, Camerun e Nigeria – con Costa d’Avorio e Ghana che da soli coprono il 60% della produzione globale.

L’industria del cioccolato è un business multimiliardario che riproduce logiche coloniali. Emblematico è un video virale in cui coltivatori ivoriani assaggiano per la prima volta nella loro vita una tavoletta di cioccolato, un lusso fuori dalla loro portata economica. Il loro stupore riflette la brutalità del sistema: mentre le multinazionali accumulano profitti da capogiro, il 90% dei coltivatori di cacao vive in estrema povertà, guadagnando appena 7 dollari al giorno per 12 ore di duro lavoro in condizioni ostili.

Le disuguaglianze emergono anche dai consumi: in Africa il consumo medio pro capite di cioccolato è di 0,4 chili all’anno, contro i 5 chili in Europa. Un divario che racconta, meglio di qualsiasi altra cosa, la storia amara del cioccolato.

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