Il Lesotho, da Paese “di cui nessuno sentito parlare” ai dazi più alti

di claudia

di Valentina Giulia Milani

In cima alla lista dei Paesi ai quali gli Stati Uniti hanno imposto dazi commerciali, figura il Lesotho, “la nazione di cui nessuno ha sentito parlare”, come l’ha definita lo stesso presidente Donald Trump a marzo, poco prima dell’annuncio ufficiale delle nuove misure commerciali. Con una tariffa reciproca del 50% sulle esportazioni verso il mercato statunitense, il Lesotho è infatti lo Stato più duramente colpito tra le decine di economie prese di mira dall’ondata protezionista promossa dall’amministrazione americana.

Secondo dati del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, il valore complessivo delle esportazioni del Lesotho verso il mercato americano si aggira intorno ai 300 milioni di dollari annui: una cifra modesta, ma fondamentale per l’economia locale.

La misura, annunciata mercoledì dalla Casa Bianca, colpisce direttamente soprattutto il settore tessile del Paese dell’Africa meridionale, che rappresenta oltre l’80% delle sue esportazioni e impiega decine di migliaia di lavoratori, per la maggior parte donne. Finora, il Lesotho beneficiava dell’African Growth and Opportunity Act (Agoa), l’accordo commerciale varato nel 2002 per consentire ai Paesi africani di esportare beni esenti da dazi negli Stati Uniti.

La scelta di imporre proprio al Lesotho la tariffa più elevata è apparsa agli osservatori tanto sproporzionata quanto simbolica. In un comizio in Ohio, Trump aveva citato il Paese con tono sarcastico, sostenendo che “nessuno sa nemmeno dove sia” e accusandolo, senza fornire prove, di “trattare male l’America sul commercio”. Secondo il presidente statunitense, infatti, le tariffe “reciproche” sono una risposta ai dazi e ad altre barriere non tariffarie applicate ai prodotti americani. Nello specifico, l’amministrazione statunitense ritiene che il Lesotho applicahi dazi del 99% sui beni americani.

L’economista indipendente Thabo Qhesi, interpellato da Reuters, ha espresso profonda preoccupazione per l’impatto di queste tariffe sul settore tessile e dell’abbigliamento del Lesotho. Secondo Oxford Economics, il tessile – che impiega circa 40.000 persone nel Paese – rappresenta infatti il principale datore di lavoro privato del Lesotho e copre circa il 90% dell’occupazione e delle esportazioni manifatturiere. Qhesi ha sottolineato che la chiusura delle fabbriche avrebbe effetti a catena devastanti sull’economia locale, colpendo commercianti al dettaglio e proprietari immobiliari.

Il governo del Lesotho, un Paese montuoso di circa 2 milioni di abitanti, completamente circondato dal Sudafrica, non ha rilasciato commenti immediati sulle nuove tariffe commerciali. Il ministro degli Esteri aveva però dichiarato a Reuters il mese scorso che il Paese, che presenta uno dei tassi di infezione da Hiv/Aids più alti al mondo, stava già subendo l’impatto dei tagli agli aiuti, essendo il settore sanitario fortemente dipendente da questi ultimi.

I tagli ai finanziamenti dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (Usaid) hanno del resto avuto un impatto significativo sui programmi sanitari in Lesotho, in particolare su quelli destinati alla lotta contro l’Hiv/Aids. Secondo un rapporto del programma congiunto delle Nazioni Unite per la lotta contro l’Hiv/Aids (Unaids) del 17 marzo, circa il 28% del supporto del Piano di emergenza per il soccorso all’Aids del presidente (Pepfar) è stato ripristinato, mentre il 32% rimane sospeso e il 40% è stato definitivamente interrotto.

Questo ha portato alla cessazione del contratto per 804 operatori sanitari, pari a oltre il 53% del personale supportato da Pepfar nel Paese. La sospensione dei finanziamenti ha causato interruzioni nei servizi essenziali, compresi quelli rivolti ai bambini orfani e vulnerabili, e ha compromesso in modo grave l’accesso ai trattamenti antiretrovirali.

La combinazione tra dazi e tagli agli aiuti rischia di aggravare la crisi economica in un contesto già segnato da povertà diffusa, insicurezza alimentare e migrazione. Fonti del ministero del Commercio del Lesotho citate da Reuters hanno definito la decisione “incomprensibile” e “dannosa per milioni di persone innocenti”. Numerosi analisti hanno interpretato la misura come parte di una strategia elettorale interna volta a rafforzare l’immagine di fermezza di Trump in materia commerciale. Tuttavia, le conseguenze rischiano di essere gravi e durature per uno dei Paesi più fragili dell’Africa australe.

La mossa potrebbe inoltre scoraggiare investimenti futuri: molte aziende del settore tessile, attratte in passato proprio dall’accesso preferenziale al mercato americano, stanno ora valutando la possibilità di trasferire la produzione in altri Paesi ancora beneficiari dell’Agoa.

Oltre al Lesotho, tra i Paesi maggiormente penalizzati figurano diversi Stati africani: la Tanzania, l’Uganda, l’Egitto, l’Etiopia e il Kenya sono stati inclusi nella lista di oltre venti economie soggette a tariffe comprese tra il 10% e il 50%. Il dato più evidente è che proprio i Paesi africani occupano le posizioni più alte in questa graduatoria, sollevando interrogativi sull’approccio dell’amministrazione americana nei confronti del continente.

La formula utilizzata dall’amministrazione Trump per determinare le tariffe doganali si basa su un criterio definito “reciproco”, che interpreta il disavanzo commerciale bilaterale degli Stati Uniti come indicatore di pratiche commerciali sleali da parte del Paese partner. In pratica, viene calcolata dividendo il valore assoluto del deficit commerciale statunitense in beni con ciascun Paese per il totale delle importazioni americane da quel Paese: maggiore è lo squilibrio, più elevata risulta la tariffa. Questo approccio, fortemente contestato da economisti e analisti, porta all’applicazione di dazi compresi tra il 10% e il 50%, colpendo indiscriminatamente anche economie fragili, prive di strumenti per rispondere in modo simmetrico. 

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