«La maestra puntò la bacchetta sull’immagine di una chitarra acustica. “Chi vuole sillabare questa parola?”. Alzai la mano, con il sorriso della certezza stampato in faccia: “G-H-I-T-A-R-E. Ghitare”. La classe scoppiò a ridere. “Marilena, in italiano questa è una chitarra. So che in africano è diverso. Cerca solo di non confondere le due lingue”».
Questa è una delle istantanee che scandiscono Negretta. Baci razzisti, l’ultimo libro di Marilena Umuhoza, brillante autrice italo-rwandese che avevamo già apprezzato per Razzismo all’italiana nel 2016.
La protagonista di questo romanzo cresce sentendosi chiamare appunto «negretta». È figlia di un ex missionario bergamasco, pervicacemente leghista ma pieno di nostalgia per l’Africa. La madre è una Tutsi che, dopo essere sfuggita agli scontri interetnici che infiammavano il Rwanda già prima del genocidio del ’94, si trova a misurarsi con il razzismo lumbard, facendo tutto ciò che è in suo potere per apparire meno nera. Il testo, ricco di elementi autobiografici e scorci realistici, scorre veloce suscitando sorrisi amari. Ha il pregio però di distillare consapevolezza e non veleno, e di indicare una direzione: «Le cose potranno cambiare nel momento in cui le nuove generazioni realizzeranno che il razzismo è un problema trasversale, che riguarda una società nel suo complesso e non solo una nicchia sfortunata». Le «cose» sono leggi desuete o clamorosamente sbagliate (vedi quella sulla cittadinanza o i decreti Salvini) e dinamiche sociali. «Ma l’Italia ormai è multiculturale e questo momento è dunque vicino».
Negretta è stato presentato come il libro che un razzista non vorrebbe mai leggere, ma probabilmente inquieterà anche vari antirazzisti, in particolare quelli più portati a muoversi su schemi rigidi e manichei. Firma la postfazione Stella Jean, stilista italo-haitiana, fautrice del meticciato e dell’impegno antirazzista.
Negretta. Baci razzisti, di Marilena Umuhoza, RedStar Press, 2020, pp. 191, € 16,00