a cura di Stefania Ragusa
È il 1878. L’esploratore belga Adolphe Burdo sbarca a Dakar in cerca di feticci, amuleti e altri pezzi di Africa verace da rivendere ai musei europei. Quando un notabile, identificato come “il re di Dakar” gli mette in mano una sua fotografia a mo’ di biglietto da visita, Burdo non nasconde il disappunto. «Dakar è decisamente troppo civilizzata», scrive sul suo diario poco dopo. «Appena possibile andrò altrove, in cerca di selvaggi più genuini».
![](https://www.africarivista.it/wp-content/uploads/2024/05/Paoletti-cover.jpg)
Cosa sarebbe accaduto se, invece di ignorare la foto, Burdo l’avesse riconosciuta come un’espressione dell’Africa verace? Se lo chiede Giulia Paoletti, docente all’Università della Virginia e autrice di Portrait and Place (Princeton University Press, 2024, pp. 240 60$), volume che documenta la diffusione e l’uso della fotografia in Senegal tra il 1840 e il 1960. Forse, se l’esploratore fosse stato meno prevenuto e orientato al proprio business, non avremmo dovuto aspettare la seconda metà del ‘900 per “scoprire” l’esistenza di una fotografia africana ricca di implicazioni artistiche, sociali e culturali.
In Portrait and Place, Paoletti ci mostra gli esordi della fotografia nell’attuale Senegal e lo sviluppo di una produzione locale autonoma, portata avanti dai fotografi itineranti; dimostra che in Senegal la religione non solo non ha ostacolato la circolazione di immagini, ma l’ha addirittura favorita; presenta al lettore alcuni artisti raffinati e ancora poco noti; propone, infine, il punto di vista di Léopold Sédar Senghor, primo presidente del Paese e teorico della négritude, sulla fotografia.
Una ricerca interessantissima, condotta con rigore accademico e grande professionalità.
Portrait and Place di Giulia Paoletti (Princeton University Press, 2024, pp. 240 60$)