Il Covid-19 ha aumentato il fenomeno della violenza sulle donne in Africa. Già ad aprile, Un Women, l’agenzia delle Nazioni Unite istituito per favorire l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile, aveva lanciato un allarme globale. Nei 12 mesi precedenti, 243 milioni di ragazze e donne tra i 15 e i 49 anni nel mondo, avevano subìto violenze fisiche o sessuali a opera di partner. «Ci si attende quindi – continuava il documento – che la rapida diffusione del Covid-19 porti il numero a salire con effetti devastanti multipli sul benessere delle donne, la loro salute sessuale e riproduttiva, la sanità mentale e la loro capacità a partecipare e condurre la ripresa delle nostre società ed economie». Dati che destano forte preoccupazione nella Giornata mondiale contro la violenza sulle donne che si celebra oggi 25 novembre.
In Africa, i diritti delle donne, forse più che altrove, trovano ostacoli insormontabili per motivi socioculturali anche perché la violenza va a innestarsi su questioni quali l’obbligo di sottostare a brutali pratiche ancestrali, i matrimoni forzati – a volte in età che non arrivano a due cifre o comunque molto tenere – lo sfruttamento, l’esclusione dalla scuola.
Tutti questi fenomeni, già piaghe radicate nel continente, sono aumentati drasticamente a causa del lockdown e mettono a dura prova i tantissimi passi in avanti fatti sul piano dei diritti degli ultimi decenni. Secondo l’Ong Plan International, per esempio, sarebbero 743 milioni le ragazze fuori da ogni percorso scolastico a causa del coronavirus nel mondo. Molte di queste vivono in Africa e rischiano di non ritornare tra i banchi.
Tra gli effetti collaterali della pandemia anche l’aumento delle mutilazioni genitali. In Stati in cui la pratica è radicata, come la Somalia, il rischio di venire «tagliate» è aumentato rispetto al periodo pre-Covid-19, e alcune organizzazioni riportano di campagne porta a porta di mammane per convincere le famiglie più dubbiose. Ma anche in altri in cui si sono fatti giganteschi passi avanti come il Sudan, che recentemente ha bandito per legge la pratica, o i tanti che si sono dotati di strumenti legislativi adeguati, il confinamento ha risvegliato antiche brutalità.
Sono tantissimi, poi, i Paesi nei quali si registra un aumento esponenziale di chiamate per denunciare abusi di ogni tipo. In Zimbabwe, la GBV Hotline denuncia un aumento del 70% delle richieste e si è trovata a dare ospitalità a 764 vittime di violenza. Secondo lo Strategic Initiative for Women in the Horn of Africa (SIHA), nella regione del Darfur (Sudan) i casi di abusi sessuali o stupri sono aumentati del 50%. In Nigeria, l’unità Domestic and gender violence response di Lagos ha dichiarato di essere stata presa d’assalto da segnalazioni e richieste di presa in carico negli ultimi mesi. Secondo l’organizzazione sarebbero almeno 13 i casi giornalieri, mentre nel solo mese di marzo si è sfiorata la cifra di 400. I tanti Paesi afflitti da guerre, già abituati da anni a convivere con la violenza, vedono crescere il livello di frustrazioni e paure sfogate su donne e bambini. Tra tutti spiccano i casi di Sud Sudan, Camerun o Congo.