La Corte internazionale di giustizia (Icj), con una sentenza emessa il 12 ottobre, ha dato ragione alla Somalia nella disputa con il Kenya sul controllo di un’ampia porzione di Oceano Indiano ai confini tra i due Paesi. Le tensioni diplomatiche tra Mogadiscio e Nairobi però sono destinate a continuare.
La posta in palio è assai elevata. Si ritiene che l’area contesa (100.000 km2) contenga ricchi giacimenti di idrocarburi. Nairobi ha già concesso permessi esplorativi a società straniere, ma la Somalia contesta la mossa. Somalia e Kenya si erano accordate nel 2009 per risolvere il litigio attraverso negoziati bilaterali. Nel 2014 si sono tenute due riunioni, ma senza risultati. Un terzo round è fallito quando la delegazione keniana non si è presentata. La Somalia ha poi portato la questione all’Icj nel 2014, affermando che i tentativi diplomatici di risolvere la controversia erano stati vani.
Il verdetto potrebbe inasprire le relazioni diplomatiche già tese. Nel 2019, il Kenya ha richiamato il suo ambasciatore a Mogadiscio dopo aver accusato la Somalia di aver venduto licenze di estrazione di petrolio e gas nell’area contesa. Nairobi ha definito la mossa «una presa illegale» delle sue risorse. Ha ricordato alla Somalia i sacrifici del Kenya nella battaglia contro al-Shabaab. Il Kenya è infatti un importante contributore di truppe all’Amisom, la missione militare dell’Unione Africana che combatte i miliziani somali legati ad al-Qaeda. Tuttora le truppe di Nairobi sono in prima linea per contenere l’avanzata dei jihadisti in Somalia e nel Nord del Kenya. Una minaccia che colpisce direttamente la Somalia e, indirettamente, lo stesso Kenya che, per effetto dell’azione di al-Shabaab, ha visto contrarsi il turismo, uno dei settori più vivaci della sua economia.
La Icj ha stabilito che non è in vigore «alcun confine marittimo concordato» tra Kenya e Somalia e ha tracciato una nuova linea di frontiera vicino a quella rivendicata dalla Somalia, auspicando che possa favorire «una soluzione equa». Secondo i magistrati il nuovo confine marittimo deve correre lungo una linea di equidistanza, che priva Nairobi di un’area importante delle acque ritenute ricche di gas e petrolio.
Il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta ha dichiarato che il Kenya non accetterà il verdetto. Kenyatta ha contestato il potere giurisdizionale del tribunale dell’Aja, ribadendo la posizione espressa dal ministero degli Esteri di Nairobi: «I tribunali internazionali hanno giurisdizione solo con il consenso di uno Stato. Il Kenya quindi chiede alla comunità internazionale di creare un ambiente favorevole alla ricerca di una soluzione negoziata».
Su diverse posizioni, il presidente somalo Mohamed Abdullahi Mohamed Farmajo. «La Somalia accetta la decisione della Corte – ha detto – e si augura che il governo keniano rispetti la supremazia del diritto internazionale e rinunci alle sue attività errate e illegali».
Il tribunale dovrebbe essere il giudice unico nelle controversie tra le nazioni. Sebbene le decisioni del tribunale siano vincolanti, il tribunale non ha però poteri esecutivi e i Paesi spesso ignorano i verdetti. Dato che il Kenya ha respinto il verdetto, la Somalia ha ora solo la possibilità di portare la controversia al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.