Ai nostri occhi sono caotici luoghi di affari e contrattazioni. Ma i mercati africani celano valori profondi che cementano le società. Per i turisti occidentali, attratti dai colori e dalla vivacità delle bancarelle, il mercato è un luogo dove fare shopping o scattare foto. Per la gente del posto, è un insostituibile punto di riferimento temporale e sociale. Dove la merce che si scambia di più è la parola
di Marco Aime – foto di Moses Sawasawa pour la Foundation Carminiac
Chi di noi, viaggiando per l’Africa, non è stato attratto dai suoni e dai colori dei mercati? La vivacità e la spettacolarità delle bancarelle sono ormai entrate a far parte dell’immaginario collettivo, spesso guadagnandosi il loro bello spazio su tutti i dépliant turistici. Ma se per il turista il mercato è spesso solamente un luogo dove “fare shopping” o scattare qualche decina di foto, per la gente del posto il mercato rappresenta un insostituibile punto di riferimento temporale, spaziale e sociale.
Il mercato, infatti, specie nel mondo rurale, non è solamente un luogo di compravendita o di scambio commerciale. In tutto il continente il mercato è un luogo caratterizzato da un’intensa celebrazione di scambi sociali e diventa luogo di incontro tra i membri dispersi della propria famiglia, del proprio villaggio d’origine e di villaggi diversi. Il grande albero che spesso sorge nel centro delle piazze è un vero e proprio arbre à palabres sotto il quale gli anziani si riuniscono per lunghe discussioni e fumate di pipa.
Spazio neutrale
Si potrebbe affermare che il ruolo economico non è neppure il più importante fra quelli svolti dal mercato. I mercati, infatti, sono tutt’altro che una pura occasione economica e forse la maggior parte dei frequentatori ci va per bere birra, incontrare gente e divertirsi. Il giorno di mercato non è solo un giorno di riposo, è un giorno di festa. Gli amici s’incontrano, i fidanzati organizzano i loro incontri mentre gli affari commerciali vanno avanti. L’aspetto sociale del mercato viene sottolineato dal suo carattere assolutamente neutrale, che emerge in maniera evidente nell’antica proibizione, vigente nella maggior parte dell’Africa occidentale, di portare armi all’interno dello spazio designato.
Inoltre, in quasi tutti i mercati si trova un luogo dove si vendono la birra di miglio o sorgo e altre bevande alcoliche. È un luogo sempre posto ai margini dell’area, per evitare che qualche ubriaco possa scatenare una rissa e disturbare il corretto andamento del mercato, che è appunto un luogo soprattutto di pace, discussione e neutralità.
Sacro e profano
«Il mercato è della gente, ma appartiene anche agli spiriti. Se fai loro delle offerte, rappacifichi i loro cuori, allora si fermano e spingono gli uomini a venire con i loro carichi. Sono loro che attirano la gente – un sacco di gente». Queste parole di un’anziana donna di Karo (Nigeria) mettono in evidenza il legame tra mercato e sacro, elemento che caratterizza i mercati in Africa occidentale e diventa talvolta determinante nella scelta della collocazione del luogo di mercato.
I luoghi dei mercati sono stati scelti da un antenato o dai saggi locali. Ancora oggi, di fronte a molti mercati è facile trovare un altare dove gli anziani vanno a fare dei sacrifici affinché il mercato sia ben animato. A volte i mercati svolgono il ruolo di luogo neutrale dove risolvere dispute tra gruppi, e la magia a essi connessa viene spesso invocata per dirimere dispute di natura politica. Il giorno di mercato, ciò che domina non è tanto la circolazione delle merci ma quella delle persone. Potremmo affermare che la merce che sul mercato circola di più è la parola.
Confini invisibili
Il mercato, inteso come luogo d’incontro e scambio sociale, è sempre apparso sospetto ai numerosi invasori e colonizzatori. Una delle azioni più tipiche era di tentare di controllarne l’accesso e lo svolgimento. Sono numerosi i casi di mercati volutamente spostati o forzatamente trasferiti vicino a campi militari, oppure venivano costruiti dei forti nei pressi del mercato stesso.
Poiché il mercato periodico era il luogo principale dove gli indigeni, sparsi su una vasta area, potevano essere osservati tutti assieme, costituiva una delle più importanti chiavi del controllo del territorio.
Vivendo le popolazioni in abitazioni disseminate sul territorio, il mercato diventa il punto di riferimento per l’incontro e lo scambio di informazioni. Nel giorno di mercato si assiste così a una fase di contrazione della popolazione. L’opposizione dispersione-contrazione fornisce punti di riferimenti territoriali. Seguendo i movimenti delle persone si evidenziano alcuni spazi che potremmo definire sociali. Per esempio, sul piano territoriale i mercati segnano il confine tra la “nostra” terra e quella degli altri. Ciò non significa affatto che venga proibito l’accesso ad altri gruppi, ma è importante sapere che chi entra nel territorio segnato dai mercati entra nella sfera d’influenza di una certa comunità. Benché non si tratti di una linea netta – ancora una volta possiamo parlare di frontiera fluida –, emerge un primo segnale politico dal mercato, un segnale che divide, sul piano dello spazio e del tempo, “noi” dagli altri. Trasformandosi lo spazio del mercato, con cadenza regolare, in punto d’incontro per i contadini dispersi nei campi, esso risponde pienamente alla definizione di “centro”, cioè un punto o zona del territorio cui una determinata popolazione fa riferimento per un’attività economica, politica, sociale e culturale in genere. L’importanza del mercato aumenta soprattutto nei contesti non urbani. Dove infatti esistono città e villaggi, questi diventano centri amministrativi di un distretto rurale; in loro assenza è il mercato periodico a svolgerne le funzioni.
Il regno delle donne
Una caratteristica essenziale dei mercati africani è che rappresentano spazi esclusivamente femminili. Sono le donne a trasportare i prodotti al mercato per poi venderli e acquistarne altri. Basta gettare un’occhiata fra le bancarelle per notare come siano tutte gestite da donne. Gli uomini siedono generalmente ai lati, chiacchierano, discutono, instaurano quella rete di rapporti sociali di cui si è parlato in precedenza, ma non prendono parte attiva all’attività del commercio. Questa è esclusivamente femminile.
È la donna, con i suoi piccoli risparmi, ad acquistare una tettoia per sé o assieme ad altre donne, creandosi così un posto fisso nel mercato. Altre, la maggior parte, vengono a vendere saltuariamente e occupano gli spazi lasciati liberi. Il piccolo commercio del mercato rurale non incide in modo rilevante sull’economia della famiglia, ma contribuisce ad arrotondare il bilancio e soprattutto a far entrare in casa un po’ di denaro liquido. In molti casi, infatti, l’intera produzione agricola della casa viene destinata alla sussistenza, senza dare origine a un reddito in denaro. Grazie al mercato e all’attività delle donne, che trasformano i prodotti agricoli in cibo cucinato (polenta, manioca, birra di sorgo, ecc.), si riesce a guadagnare qualche spicciolo, oppure a scambiare cibo trasformato con abiti, pentole, batterie o altri oggetti utili.
Il tempo del mercato
Presso quasi tutte le società africane tradizionali, i mercati di una certa area, animandosi l’uno all’indomani dell’altro, formano un ciclo che rappresenta la “settimana” locale. Il sistema di calcolo del tempo breve basato sul mercato è piuttosto diffuso in Africa occidentale. Tra i Tiv della Nigeria, per esempio, i mercati si tengono ogni 5 giorni e forniscono il riferimento per i periodi di tempo brevi. Se uno viaggia nel Paese e lascia l’area di un mercato per entrare in un altro che si tiene lo stesso giorno, il nome del giorno cambierà. Allo stesso modo, presso i Dagomba del Ghana il ciclo di 6 giorni è molto più importante del ciclo lunare. I Dagomba adottano oggi una settimana, 7 giorni, di origine musulmana, ma in tutto il Dagomba e nel Konkombaland la vecchia “settimana” di 6 giorni vive nel ciclo dei mercati. Ogni giorno di questa settimana c’è un mercato in qualche posto nelle vicinanze. I giorni della settimana sono spesso chiamati con il nome del mercato.
La ciclicità dei mercati rurali in Africa, adottata come base per il calcolo del tempo, risale a epoche lontane. Già gli antichi Romani nel corso della loro colonizzazione africana trovarono quelle che chiamarono nundinae (da novem dies, poiché il ciclo dei mercati in Italia si basava sull’antica settimana di otto giorni, per cui lo stesso mercato si ripeteva il nono giorno), la cui periodicità era però di quattro giorni.
Ci troviamo di fronte a un calcolo del tempo diverso da quello basato sui cicli ecologici, le stagioni, le piogge, le lune. Una dimostrazione che non è vero che il calcolo del tempo in Africa si rifaccia solo a eventi naturali si basa, come in questo caso, anche su fatti concreti che fanno riferimento a fenomeni sociali, come appunto il mercato. Il tempo del mercato è un dominio entro il quale gli uomini contraggono obbligazioni gli uni con gli altri, quindi molto più percettibile rispetto al tempo strutturale legato ai riti di passaggio e a quello ecologico legato alle stagioni.
Possiamo insomma affermare che il tempo del mercato è un tempo voluto e creato dall’uomo, senza riferimento alcuno a eventi della natura che lo circonda. I mercati rurali, quindi, non servono solo a determinare l’economia e il calendario. Sono un importante collegamento nelle comunicazioni di ogni tipo.
Questo articolo è uscito sul numero 3/2021 della rivista. Per acquistare una copia clicca qui, o visita l’e-shop