di Marco Trovato – direttore editoriale della rivista Africa
Troppi continuano a esplorare l’Africa – e più in generale il Sud del mondo – con un atteggiamento paternalistico e pietista. Ma l’altruismo, per quanto nobile, può diventare deleterio e controproducente quando si traduce in gesti estemporanei che alimentano dinamiche di dipendenza, umiliazione e conflitto.
Il pullman si arresta nella piazza del villaggio, sollevando una nube di polvere che lentamente si dissolve nell’aria. Ne scendono una quarantina di italiani – infradito, pantaloncini, cappellini e occhiali da sole. Sono turisti provenienti da un vicino resort, sorridenti e col cellulare in mano, pronti a immortalare l’esperienza. È giorno di escursione. Il programma prevede la visita a una comunità locale. «Un’opportunità preziosa», assicura il volantino, «per conoscere le condizioni di vita degli abitanti dell’isola, poveri ma dignitosi, e toccare con mano il calore della loro ospitalità». La guida aveva raccomandato di non presentarsi a mani vuote e di portare doni per la comunità. Quando però vengono scaricati dal bus i primi sacchi di riso, la situazione prende una piega inaspettata. Dalle case di legno si riversano decine di persone: uomini, donne, bambini e anziani accorrono in un’ondata tumultuosa.
La scena si trasforma in pochi istanti in una lotta feroce per accaparrarsi il prezioso cibo. Gomitate, spintoni, urla. Mani che si allungano, cercano di afferrare manciate di chicchi, strappandoli ad altri con avidità.
Il villaggio, poco prima tranquillo, diventa teatro di un caos incontrollabile. Scoppiano litigi, tafferugli, risse. I turisti, colti alla sprovvista e visibilmente scossi da quella che interpretano come un’esplosione di “incomprensibile ferocia”, si rifugiano frettolosamente nel pullman, che riparte in tutta fretta lasciandosi alle spalle una scena di confusione e tensione.
Questa storia, raccontatami da un amico appena tornato da una settimana di vacanza a Zanzibar, non mi è nuova. Anch’io, purtroppo, sono stato testimone diretto di dinamiche simili altrove in Africa. Il copione si ripete, la dinamica è sempre la stessa: il divario tra le aspettative turistiche e la realtà locale emerge in tutta la sua brutalità, lasciando dietro di sé disagio, incomprensione e domande irrisolte. La responsabilità principale di simili situazioni è da attribuire a certi operatori turistici, che promuovono un modo di viaggiare superficiale e irresponsabile. Eppure, alternative valide esistono: tour operator seri e radicati nei Paesi in cui operano, capaci di proporre esperienze rispettose delle comunità e arricchenti per i viaggiatori. Il che non esonera i viaggiatori dalle loro responsabilità.
Troppi continuano a esplorare l’Africa – e più in generale il Sud del mondo – con un atteggiamento paternalistico e pietista, incapaci di abbandonare il ruolo di benefattori benestanti, convinti di “fare del bene” distribuendo regalie lungo il proprio cammino. Eppure, l’altruismo, per quanto nobile, può diventare deleterio e controproducente quando si traduce in gesti estemporanei che alimentano dinamiche di dipendenza, umiliazione e conflitto. Viaggiare non è solo un’opportunità di scoprire nuovi mondi, ma anche un’occasione per interrogarsi sul proprio ruolo in essi. E il turista animato dalle migliori intenzioni potrebbe aprire gli occhi e rendersi conto che la generosità non basta a produrre gli effetti auspicati: può anzi peggiorare le cose, creando rabbia, frustrazione, ingiustizia.
Il vero dono che possiamo fare – anzitutto a noi stessi – è la volontà di ascoltare, imparare e contribuire in modo consapevole alla costruzione di rapporti rispettosi che promuovano conoscenza e crescita reciproca. Piuttosto che riempire le valigie di caramelle, quaderni e magliette da distribuire ai bambini, facciamo spazio per qualche libro di scrittori locali, capaci di farci conoscere le culture che incontreremo. Invece di correre e di fotografare come forsennati durante i nostri viaggi, rallentiamo e riprendiamoci il tempo per ciò che più conta. Anziché monetizzare i rapporti sociali, cogliamo l’occasione dell’incontro per stringere relazioni autentiche e significative. Più che della nostra compassione, l’Africa ha bisogno di essere ascoltata, conosciuta e rispettata.