Domenica 4 settembre alle ore 21.30 a Venezia, in occasione del Festival del Cinema, appuntamento imperdibile con la proiezione, in anteprima mondiale, del film “Il Paese delle persone integre”. Un documentario politico ma anche profondamente umano, che racconta la rivoluzione del 2015 nella capitale del Burkina Faso, Ougadougou, per cacciare il dittatore Blaise Compaoré, uno dei mandanti dell’omicidio di Thomas Sankara. Ingresso libero su prenotazione obbligatoria. Il documentario sarà disponibile fino al 9 settembre anche su Mymovies.
di Annamaria Gallone
“Il Paese degli uomini integri”, in lingua locale “Burkina Faso”, così aveva ribattezzato l’Alto Volta il mitico presidente rivoluzionario Thomas Sankara. E “Il Paese delle persone integre” si intitola il documentario che sarà programmato prima mondiale alla 79° edizione del Festival di Venezia il 4 settembre 2022, alle ore 21.30, sala Laguna (ingresso libero con prenotazione obbligatoria al sito “giornate degliautori.com)”.
Dice il suo autore, Christian Carmosino Mereu, regista, produttore, docente e operatore culturale attivo in Europa e in Africa da più di venticinque anni: “Nel 2015 ho realizzato un documentario televisivo per raccontare l’insurrezione del popolo burkinabè e la successiva transizione verso la democrazia. In quell’occasione ho utilizzato lo stile del reportage, ho scelto di raccontare semplicemente i fatti. Parallelamente ho iniziato a seguire quattro personaggi, che nei successivi cinque anni sono diventati le voci e gli occhi de “Il paese delle persone integre”. Entrando nella loro vita quotidiana, il loro racconto in prima persona ha sostituito il mio. Questo perché ho realizzato che uno sguardo estraneo, qual era il mio, non sarebbe stato sufficiente per restituire il cambiamento in atto. I protagonisti di questo nuovo film sono persone che non hanno solitamente voce in capitolo, finendo per rimanere numeri, dati sui quali in Occidente si basano i dibattiti politici che trattano il tema delle migrazioni in modo semplicistico. Mi sono posto prima come “strumento” della narrazione e poi come “ascoltatore” interessato: una forma di partecipazione alla lotta di liberazione con i miei strumenti di cineasta che cerca di sfuggire agli stereotipi e mostrare invece quello che i media mainstream metodicamente nascondono. Perché cambiare sguardo è un atto politico”.
E totalmente politico è questo documentario, ma anche profondamente umano. Sono rimasta molto scossa dal reportage in bianco e nero che racconta la rivoluzione del 2015 nella capitale, Ougadougou, per cacciare il dittatore Blaise Compaoré, rimasto al potere ben ventisette anni, uno dei mandanti dell’omicidio di Thomas Sankara (il 15 ottobre ’87). Nel 2014 Compaoré aveva tentato di far approvare una modifica della Costituzione che avrebbe rimosso il limite di due mandati previsti per la sua presidenza, al fine di rimanere in carica per altri quindici anni. Un’insurrezione popolare lo ha impedito, costringendo Compaoré a lasciare il Paese. Il regista, con grandissimo coraggio, si è unito alla popolazione che, incurante dei divieti e degli spari della guardia presidenziale alla quale erano stati affiancati mercenari provenienti dal Togo e da altri Paesi africani, si è battuta con rabbia e determinazione, per porre fine all’impero di un tiranno, sacrificando molti martiri, i cui solenni funerali si vedono nel documentario a colori, insieme alle immagini della distruzione della città, durante i moti rivoluzionari.
Ricordo di essere stata poco dopo la cacciata di Compaoré a Ougadougou e aver visto le macerie in tutti i luoghi del potere: auto bruciate, edifici totalmente distrutti, documenti sparsi ovunque, scarpe, abiti, borse lasciati lì, dove la collera vendicativa della popolazione si è sfogata. E ricordo l’orgoglio, la gioia e la speranza della gente che mi fermava per strada.
Tutto questo è raccontato con straordinaria icasticità nel documentario con l’incessante traffico delle mobilettes, i motorini che, come formiche, si spostano lungo le strade, con i primi piani delle persone e soprattutto nel quotidiano dei quattro protagonisti.
Commovente la figura di Assanata Ouedraogo, madre single che cerca di sopravvivere con il suo piccolo che tenta di sfamare, che accompagna ansiosa in ospedale perché febbricitante per un attacco di malaria, che veste con uno sfarzoso costume islamico per partecipare alla comune preghiera collettiva. Bellissimi i volti, la vita nella corte, la cottura dei cibi di cui ti sembra di sentire l’odore. Come ti sembra di sentire l’odore della polvere rossa che tutto copre e che dappertutto si infila, negli abiti, nei capelli, ma viene domata dalla pioggia lungo le strade.
Particolarmente toccante la sepoltura dei martiri, piccole croci piantate nell’argilla, con le professioni dei morti, che sono le più svariate e la date della nascita e del decesso. Tra loro ragazzi di 14 anni, perché tutti, con una passione senza limiti, hanno partecipato alla rivoluzione per conquistare la libertà e una vita migliore. Purtroppo, dopo la rivoluzione e tanta speranza, la vita dei burkinabé e ancora improntata da una grande miseria.
(Sappiamo dalla cronaca che i successivi governi sono stati messi alla prova da due colpi di stato (nel maggio 2015 e nel gennaio 2022) e oggi la situazione politica rimane altamente instabile. Nonostante “Il paese delle persone integre” sia ricco di risorse minerarie (in particolare di oro esportato in Europa anche in modo illegale e sfruttando il lavoro nero) è attraversato da una grave crisi umanitaria, complice una moltitudine di aspetti poco esplorati dai media occidentali. La condizione di povertà coinvolge gran parte della popolazione, causando malnutrizione e malattie, aggravate dalle conseguenze degli attentati ad opera di gruppi armati legati ad Al Qaeda e Isis. Gli sfollati interni sono circa 1,9 milioni -fonte: Unhcr – Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati- e il paese ospita migliaia di rifugiati).
Tra i protagonisti scelti dal regista, straordinaria, campeggia su tutte la figura del cantante, Sams’k Le Jah, l’icona della scena reggae, (premiato da Amnesty International come Ambasciatore di coscienza) che Carmosino Mereu ha seguito nella tournée di enorme successo attraverso il Paese. Il suo impegno politico ricorda la figura di un grande militante, Fela Kuti. Sulla sua T-shirt campeggia una scritta molto eloquente: Chasseur de dictateur, cacciatore del dittatore e anche dopo che il dittatore è stato cacciato, il suo impegno continua e inneggia a Thomas Sankara, per tutti un eroe, un esempio da imitare. E la sua canzone che sentiamo durante i titoli di coda del film fa riferimento a un gravissimo problema attuale: “Boko Haram, lascia libere le nostre ragazze, lascia libere le nostre ragazze”!
Dopo 5 anni, infatti, tornato in Burkina, il regista scopre, anche attraverso le testimonianze di un candidato alle imminenti elezioni e un minatore impegnato nella lotta sindacale, Yiyé Constant Bazié, e Dieudonné Tagnan (Ghost), quanti siano ancora i problemi di questo Paese ricco per l’Occidente e povero per i suoi abitanti. E contro l’ingiustizia si battono coloro che lavorano in un grattacielo pretenzioso e non vengono pagati da tempo e non sanno a chi appartiene la società e che vengono respinti da muro di gomma di qualche burocrate.
E basta vedere le immagini delle miniere d’oro, piccoli appezzamenti concessi a privati per tenere buona la popolazione, dove i lavoratori coperti di polvere sono costretti a una fatica massacrante per un pugno di riso: bambini che si calano nel “buco” con una pila fissata da un elastico sulla fronte, scalzi, senza alcuna protezione, gli sguardi spenti dei disperati.
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha dichiarato:”Il Burkina Faso è un Paese tormentato. Le storie di attivismo e di resistenza raccontate da questo film ci dicono che meriterebbe un destino migliore”. Ne sono profondamente convinta e penso che sia molto importante vedere questo documentario, non lasciatevelo sfuggire.
Il film potrà essere visto anche on line (su MyMovies, dalle 22 di domenica 4 settembre fino alle 22 di venerdì 9 settembre, info qui) e dopo il festival nelle sale.
Il Paese delle persone integre è prodotto da Christian Carmosino Mereu ,Vito Zagarrio, il Dipartimento Filosofia, Comunicazione e Spettacolo – Università degli Studi Roma Tre, DocFest Productions,Indyca con il patrocinio di Amnesty International Italia, media partner Zalab, distribuzione internazionale Deckert Distribution.