di Mariachiara Boldrini
In Sudafrica furoreggia il mermaiding, il nuoto con le gambe fasciate in una monopinna. Le sirene non hanno attratto solo Ulisse e i marinai. In Sudafrica donne e uomini di ogni età sognano di immedesimarsi in queste creature nuotando con le loro splendide code variopinte. Una disciplina che permette di sentirsi parte integrante del mondo degli oceani
Metà donna, metà pesce. Le sirene sono figure mitologiche fra le più diffuse nelle credenze popolari: compaiono nell’Odissea di Omero quando ammaliano Ulisse coi loro dolci richiami. E tornano periodicamente protagoniste nei racconti dei marinai ad ogni latitudine. In Sudafrica hanno trovato casa grazie al mermaiding, specialità del nuoto ispirata al loro movimento aggraziato. Praticato con le gambe fasciate in una monopinna, questo sport sta diventando molto popolare tra Johannesburg e Città del Capo. E non è un caso che il nuoto delle sirene furoreggi proprio qui.
Fin dagli anni Sessanta, il Sudafrica ha sempre fissato i record del nuoto internazionale, ma secondo Daniela Daines, cofondatrice della non profit Sea the Bigger Picture, la maggior parte dei sudafricani se ne frega dei record e nuota, invece, per entrare in contatto con sé stesso e con la natura marina, la cui tutela è sempre più collegata agli sport acquatici. «Quello che le persone vogliono», dice Daines, «è la possibilità di disconnettersi dalla vita quotidiana dell’ambiente urbano ed esplorare in sicurezza la meraviglia degli oceani».
Daines è un’insegnante di freediving, una forma di immersione in apnea che ha il doppio pregio di avvicinare alle diversità marina e di essere allo stesso tempo uno sport terapeutico, come lo yoga o la meditazione. Zandile Ndhlovu, prima istruttrice di freediving nera, conosciuta come “la Sirena Nera”, ha trovato nell’oceano il suo elemento naturale dove portare avanti le battaglie per la protezione della fauna marina. Secondo Ndholvu, «parlare di sostenibilità ambientale in Africa è ancora difficile, perché la questione alimentare ha la priorità», ma in un Paese con 2.000 chilometri di coste salvaguardare gli oceani è un’azione necessaria e urgente.
Il problema è che, nonostante i ranking olimpionici, solo il 15% dei sudafricani sa nuotare, e sono per la maggior parte bianchi. L’esclusione della popolazione nera dalle attività acquatiche, che ha motivazioni storiche e implicazioni pericolose (nel Paese affogano ogni anno 600 bambini), oltre che essere ingiusta non aiuta la tutela dell’ambiente. Ndhlovu, nata e cresciuta a Soweto, ha dato vita alla Black Mermaid Foundation, un’associazione che si prefigge di decolonizzare il nuoto e «creare uno spazio sicuro affinché le persone nere possano esplorare l’acqua, perché il nuoto non è uno sport elitario e gli oceani sono di tutti».
La pensa allo stesso modo Izzelle Nair, istruttrice sudafricana di mermaiding, i cui allievi non si sono accontentati di sentirsi sirena e hanno deciso di trasformarsi in queste creature marine. «È una vera e propria disciplina sportiva», puntualizza Nair, ricordando che il mermaiding dal 2019 è riconosciuto ufficialmente come specialità agonistica di nuoto (l’anno prossimo i Mondiali si disputeranno in Giappone). Alla Merschool, la sua scuola di Midrand, vicino a Johannesburg, i suoi studenti, maschi e femmine di ogni origine etnica e di tutte le età (dai 13 ai 40 anni), nuotano con le gambe avvolte da una coda colorata che termina con una monopinna di plastica. Per praticare questo sport hanno bisogno dell’armonia del nuoto sincronizzato e del controllo diaframmatico necessario per la respirazione in apnea, della tecnica dello stile delfino e della forza per remare con gli arti superiori.
A guardare le foto sembrerebbe un’attività di cosplay acquatico, è invece solo un altro tentativo di sentirsi parte integrante del meraviglioso mondo degli oceani.
Questo articolo è uscito sul numero 5/2022 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.