Il 15 aprile, Papa Francesco andrà sull’isola di Lesbo, in Grecia, per incontrare i migranti. La visita è ormai certa. Così com’è certo che il Pontefice verrà accolto dall’Arcivescovo di Atene Ieronimos II e dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I. Con loro, il presidente della Repubblica, Prokopis Pavlopoulos, e il primo ministro Alexis Tsipras.
Questo viaggio ha una doppia valenza. La prima è la vicinanza di questo Papa ai migranti e al loro dramma. In questa vicinanza c’è, certamente, una parte della sua storia personale di figlio e nipote i emigrati italiani in Argentina. Ma c’è anche la costante attenzione verso gli ultimi che è la cifra di questo pontificato. Non è un caso che il suo primo viaggio dopo l’elezione a Pontefice sia stato a Lampedusa (8 luglio 2013), così come non è un caso che quest’anno, nel corso della visita in Messico, abbia voluto recarsi sulla frontiera con gli Stati Uniti e pregare per tutti quelli che, rischiando la vita, cercano un futuro migliore altrove.
«Questa tragedia umana – ha sottolineato proprio sul confine – che la migrazione forzata rappresenta, al giorno d’oggi un fenomeno globale. Ma anche una crisi, che anziché misurare in cifre noi vogliamo misurarla con nomi, storie, famiglie. Sono fratelli e sorelle che partono spinti dalla povertà e dalla violenza, dal narcotraffico e dal crimine organizzato. A fronte di tanti vuoti legali, si tende una rete che cattura e distrugge sempre i più poveri. Non solo soffrono la povertà bensì soprattutto queste forme di violenza».
Lo scorso 28 febbraio, alla fine dell’Angelus, Papa Francesco aveva ancora rivolto le sue preghiere al «dramma dei profughi che fuggono da guerre e altre situazioni disumane» ricordando «in particolare, la Grecia e gli altri Paesi che sono in prima linea» e «stanno prestando a essi un generoso soccorso, che necessita della collaborazione di tutte le nazioni. Una risposta corale» aveva aggiunto «può essere efficace e distribuire equamente i pesi. Per questo occorre puntare con decisione e senza riserve sui negoziati». Sul fronte delle migrazioni, la Santa Sede poi è stata particolarmente critica con l’accordo siglato da Bruxelles e Ankara per i respingimenti dei rifugiati siriani. «L’Osservatore Romano», titolando in prima pagina «Piano contestato», ricordava le critiche rivolte all’Europa da «numerose organizzazioni umanitarie che hanno deciso di sospendere le proprie attività in molti campi profughi», e aggiunge: «Le organizzazioni lamentano infatti la vaghezza dei criteri scelti per i ricollocamenti e sottolineano che questo sistema non risolve il problema alla radice. Inoltre l’accordo non fornisce garanzie di protezione ai rifugiati in virtù del diritto internazionale. Alcuni hanno addirittura parlato di “un colpo mortale” al diritto di asilo».
Il viaggio a Lesbo ha anche una grande valenza ecumenica. Nella visione della gente comune, il dialogo ecumenico è qualcosa di polveroso, di cui devono occuparsi i teologi nei loro studi e nei loro convegni accademici. Papa Francesco, ancora una volta, ribalta la prospettiva. Il viaggio è un’occasione di incontro con le Chiese ortodosse, un incontro che non è teorico, ma trova la sua sintesi nella vicinanza agli ultimi. Il dialogo diventa quindi un ritorno all’essenza profonda del Vangelo che è il vero messaggio lanciato, ora e negli anni passati, da questo Papa.