Il paradiso minacciato degli Himba

di claudia

Al confine tra Namibia e Angola il fiume Kunene regala un paesaggio magico e fragile. Gli Himba sono pastori nomadi di vacche e capre. Abitano una regione remota dove hanno conservato usi e costumi secolari. Ma la loro vita tradizionale in simbiosi con la natura è minacciata dai cambiamenti della modernità

di Alberto Salza

Opuwo, unica cittadina del Kaokoland, significa “la fine”. E non ci sarebbe nome più opportuno per indicare una località tanto isolata. Per giungervi da Windhoek, capitale della Namibia, occorrono otto ore di strada piena di sassi e di sabbia.

Il Kaokoland è una delle zone più incontaminate dell’Africa meridionale, quasi inaccessibile e solo parzialmente esplorata. Il territorio è in gran parte roccioso e montagnoso (con le massime altezze raggiunte nella catena dei Monti Baynes, 2039 metri) e il clima arido. La regione ha una densità di popolazione che è un quarto della media nazionale della Namibia, che è già di suo tra le più basse al mondo, e buona parte degli abitanti appartiene all’etnia himba.

Gli accattoni?

Gli Himba sono pastori seminomadi. Vivono in capanne a forma di pan di zucchero circondate da una fitta siepe di rami spinosi che protegge il bestiame. Le abitazioni hanno un’intelaiatura in legno d’acacia ricoperta da un impasto di fango e sterco di vacca, a costituire una superficie resistente a sole e pioggia.

La convivenza con i greggi è molto stretta. I loro accampamenti sono avvolti da una polvere micidiale fatta di terra smossa dagli zoccoli di centinaia di bovini, capre e pecore, cui si mescola un trito fine di sterco bovino ed erba secca. Abbiamo descritto altrove il loro modello di vita (“Nel regno degli Himba”, Africa 1/2015). Derivano da un gruppo di Herero (popolazione di lingua bantu) migrato verso l’Angola nella seconda metà del XIX secolo per fuggire le razzie dei Nama di lingua khoe-khoe (da cui l’origine del toponimo Kaokoland). In Angola chiesero ospitalità agli Ngambwe, e così vennero chiamati ovahimba (plurale), “gli accattoni”.

In tal modo, però, gli Himba evitarono l’incontro/scontro con i colonizzatori tedeschi e il conseguente genocidio subito dagli Herero fino al 1907, quando furono avviati a morire nel Kalahari: fu l’anteprima sperimentale delle “marce della morte” in uscita dai lager nazisti. Nel 1920, guidati verso sud da un certo capo di nome Vita (“guerra”, in lingua bantu), la maggior parte degli Himba traversò nuovamente il fiume Kunene che separa l’Angola dalla Namibia, onde rioccupare i pascoli stenti del Kaokoland, dove vissero in beato isolamento fino a che i loro costumi “selvaggi” non vennero scoperti dal turismo.

Namibia, Himbas. Nella regione in cui vivono, le donne Himbas devono procurare l’acqua per le famiglie. Spesso devono camminare lunghe distanze per raggiungere la pozza d’acqua e il fiume. (Foto di Antoine Lorgnier)

Fascino “primitivo”

Da allora gli Himba sono rappresentati come isolati deserticoli, esseri orientati alla mera sussistenza, patriarchi poligami, “bellezze selvagge”. Unte di ocra rossa, acconciate di conchiglie, con pettinature elaborate e, soprattutto, a seno nudo (ah, il voyeurismo degli obiettivi fotografici!), le ragazze himba offrono ai bassi impulsi della rappresentazione estetica occidentale una piattaforma del desiderio.

Nel nostro secolo, tre soli temi dominano l’immagine degli Himba: un mondo “primitivo” in pericolo, la ricerca di “autenticità”, e l’appeal erotico. È possibile che il tutto derivi dal rapporto Lbr (leg-to-body ratio), un tratto morfologico che influenza i canoni di bellezza. Nella nostra cultura, un lbr superiore alla media è attraente nelle donne (vedi il tacco 12), mentre per gli uomini basta un Lbr medio. Contrariamente al pensiero occidentale (si fa per dire), gli Himba, alti e slanciati, preferiscono le donne con le gambe corte (basso Lbr), mentre apprezzano gli uomini con un Lbr elevato.

Sarà pur sempre una questione di gambe, ma non stupisce che un maschio nomade sia considerato “bello” per il passo lungo. Nel dare un’occhiata ai portfolio dei fototuristi, però, il numero di donzelle seminude e unte di grasso supera di gran lunga quello degli uomini, seminudi pure loro, ma madidi di sudore.

Namibia, regione del Kunene, Kaokoland, cascate Epupa all’alba foto di CHAPUT Franck

Una striscia di smeraldo

Gli Himba ci paragonano alle iene, ridendo. E fanno male. La iena è considerata dagli Himba un perfetto idiota. Eppure ogni Himba ha sperimentato l’abilità della iena nell’attaccare le greggi. Turismo e modernità sono come la iena: si nutrono dei residui delle culture morenti. E guai a considerarli stupidi. Entrambe le ferocie organizzate, per esempio, tentano di appropriarsi delle Epupa Falls.

Epupa significa “spuma”: si tratta di un salto delle acque del Kunene di una quarantina di metri. L’area di rapida è solo di un chilometro e mezzo, ma apre uno scenario che a noi appare paradisiaco dopo sabbia e sassi. I turisti arrivano a descrivere le Epupa come una «striscia di smeraldo». Il verde, e non il blu, è dato dalle migliaia di palme makalani (Hyphaene petersiana) che crescono lungo il fiume. Ora i governi di Namibia e Angola vorrebbero imbrigliare le acque del Kunene per la produzione elettrica. Sin dagli anni Novanta gli Himba, mai consultati dai poteri centrali, si sono opposti a tre diversi piani idroelettrici sul Kunene: una diga a Epupa Falls, una a valle (Monti Baynes) e una a monte (Ruacana), operativa dal 2012.

Viahondjera Musutua, una donna Himba (a sinistra), in un recinto pieno di mucche nel piccolo villaggio di Ondjete nel nord-ovest della Namibia. © Peter Menzel / LUZ

Energia e modernità

La Namibia ha un cronico bisogno di energia, ma la domanda è: che se ne farebbero gli Himba? Ratutji Muhenje dimostra una trentina d’anni e ha barattato l’ocra rossa con i jeans e gli occhiali a specchio: «La diga a valle di Epupa va bene – dice –. L’elettricità creerà posti di lavoro. I giovani andranno a scuola e poi torneranno a badare alle capre».

La quarantenne Muhapikwa Muniombara, con ocra, bracciali e collane, Sostiene il contrario: «Noi sopravviviamo grazie alle risorse dei Monti Baynes: a primavera ci portiamo il bestiame al pascolo. E raccogliamo miele. Sono la nostra dispensa». A complicare le cose, c’è il problema delle tombe. Il corso del Kunene è fiancheggiato da una striscia di ancestrali sepolcri himba, che sarebbe inondata dalla diga da 1700 Megawatt. Ancora Muniombara: «Le tombe non si spostano. Se lo facciamo, muore lo spirito e l’erba si secca».

Mentre i governi di Namibia e Angola tentano di trovare compromessi e compensazioni (la corruzione è più sicura del consenso informato), gli Himba sono indotti ad abbandonare la vita nomade nelle terre ancestrali per insediarsi in città… dove si annidano le trappole più insidiose. Date un’occhiata a Opuwo: c’è una chiesa, un ospedale, un distributore di benzina, alcuni empori modello western e poche abitazioni. Da qualche parte ci sarà pure una scuola, ma non si vede. La domenica si tiene un piccolo mercato, dove si vende soprattutto il mahango, la locale birra di miglio. Fuori dal paese, nelle praterie del Kaokoland, le iene guardano e ridono. Aspettano che l’alcol si beva gli Himba.

Foto di Bruno Zanzottera

(Alberto Salza – Foto di apertura: Eric Lafforgue)

Questo articolo è uscito sul numero 1/2021 della rivista. Per acquistare una copia, clicca qui o visita l’e-shop

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