Fino a qualche anno fa Amir Issaa era “solo” un rapper mezzo egiziano e mezzo italiano, cresciuto a Torpignattara, e che aggrappandosi allo skate, ai graffiti e quindi al rap era riuscito a non farsi sommergere e tirare a fondo dalle difficoltà della vita. Conosciuto per brani come Scialla, Non sono un immigrato o Questa è Roma, nella musica vedeva essenzialmente un viatico per l’affermazione personale. Poi, nel 2017, esce Vivo per questo (Chiarelettere), un libro in cui racconta la sua vita e anche il suo impegno contro il razzismo, l’emarginazione e lo smarrimento di tanti giovani delle periferie.
Per Amir inizia così una nuova stagione, scandita da presentazioni e inviti nelle scuole italiane e nelle università americane. Agli studenti racconta la sua storia, ma comincia anche a coinvolgerli in sperimentazioni estemporanee di creatività. Il rap diventa nelle sue mani uno strumento didattico, la chiave per aprire strade inedite di comunicazione con i ragazzi e mostrare loro che la poesia, la musica e la condivisione delle emozioni possono essere più accessibili di quanto comunemente si creda. Educazione rap (Add, 2021, € 13,00, pp. 224), il suo nuovo libro, scritto in collaborazione con l’esperta di retorica Flavia Trupia, è un po’ la summa di questa nuova esperienza. E si rivolge tanto agli studenti, per esortarli a mettersi alla prova, quanto ai docenti, che – ce lo ha detto lui – «spesso hanno idee preconcette intorno al rap e ignorano quanto possa essere potente ed efficace nel veicolare messaggi costruttivi».
(Stefania Ragusa)