Sono ciechi, paraplegici, mutilati o albini. Vittime di pregiudizi e discriminazioni sociali, emarginati per la loro “diversità”, hanno trovato il coraggio di reagire e di far sentire la propria voce grazie alla musica.
«C’è bisogno di musica? Eccoci! Volete la rumba? Prego! Un po’ di reggae? Nessun problema! Jazz?! Et voilà!». Djikin Balema Zimele Futi riscalda il pubblico accorso al concerto dell’orchestra Ava (Aveugles avec la musique). È cieco, come gran parte dei musicisti della band. Gli altri sono paralitici o albini. Alida Mkamba, 32 anni, corista dalla pelle color latte, è l’unica donna. «Ho ricevuto in dono una bella voce e vorrei tanto che la gente mi apprezzasse per le mie doti di vocalist – dice al termine dell’esibizione –. Ma quando scendo dal palco devo affrontare pregiudizi e angherie. In tanti pensano che l’albinismo sia una malattia contagiosa. Quando salgo su un pullman o vado al mercato, la gente si scansa. Un tempo la mia “diversità” mi angosciava, oggi soffro molto meno. Ho imparato ad accettarmi per quello che sono e ho ritrovato la fiducia in me stessa. Merito di questa band. La musica mi ha salvato».
La felicità ritrovata
Siamo nel cortile del Centre de Rééducation pour Handicapés Physiques, un istituto fondato sessant’anni fa a Kinshasa dai missionari Fratelli della Carità. È un luogo di ritrovo per i disabili che vivono nella capitale congolese, che qui possono svolgere attività artistiche, ricreative e di formazione, oltre a usufruire di servizi di riabilitazione e assistenza medica. Qui si ritrovano a provare e si esibiscono i musicisti dell’orchestra Ava. «Suoniamo in occasione di feste, eventi pubblici o cerimonie private – racconta fiero Djikin –. Riusciamo a guadagnare qualcosa. Soprattutto, concerto dopo concerto, conquistiamo l’affetto della gente».
Nel corso degli anni i componenti della band sono aumentati, oggi sono una quindicina di elementi. Mbungu Dieu Merci, 26 anni, è il percussionista: «Ho perso la vista a cinque anni, per un glaucoma. A scuola non riuscivo a studiare e a seguire le lezioni e gli altri bambini mi prendevano in giro. È stata dura, ho resistito e mi sono diplomato grazie anche all’aiuto di mia madre. Tre anni fa mi sono unito all’orchestra e ho capito cosa significa essere felici: grazie alla musica riesco a esprimermi e a realizzarmi. Spero di poter un giorno diventare famoso all’estero».
Strumenti artigianali
Il sogno è di replicare il successo dello Staff Benda Bilili (tradotto dal lingala: “guarda oltre le apparenze”), il celebre gruppo di musicisti paraplegici nato all’inizio degli anni Duemila tra le baracche di N’djili, un sobborgo di Kinshasa. «All’inizio nessuno ci prendeva sul serio», ricorda Ricky Likabu Makodu, 67 anni, tra i fondatori della band, costretto a muoversi in carrozzella. «Eravamo un gruppo di amici accomunati dalla passione per la musica. Tenevamo concerti per strada. Ci eravamo costruiti con le nostre mani dei tricicli motorizzati per facilitare gli spostamenti nei vicoli sabbiosi. Anche gli strumenti musicali erano fatti da noi, assemblando ferraglia riutilizzata». Architrave di ogni brano era il satongé: un originale strumento a corde realizzato con una lattina di sarde svuotata e un pezzo di legno. «La gente pensava fossimo mendicanti. Ma noi volevamo sfondare con la musica».
Le canzoni raccontavano la vita dei diseredati: disabili, bambini di strada, rifugiati, senzatetto. Testi duri e commoventi associati a ritmi festosi, a melodie piene di vita. Un’irrefrenabile miscellanea di rumba, reggae e blues che ben presto dilagò per i quartieri popolari di Kinshasa, entrò nei locali notturni, arrivò a conquistare le radio più ascoltate.
Star in carrozzella
L’energia scoppiettante della band non passò inosservata. Nel 2009 il produttore belga Vincent Kenis, specializzato in musica congolese, finanziò la registrazione del loro primo album: Très très fort, accolto con entusiasmo da critica e pubblico. L’ascesa dello Staff Benda Bilili fu documentato da due registi francesi, Renaud Barret e Florent de la Tullaye, che seguirono i musicisti per mesi, registrando e testimoniando la loro crescita di popolarità. Il film Benda Bilili, presentato a Cannes nel 2010, contribuì a far crescere ulteriormente la fama e la leggenda del gruppo. Seguirono decine di concerti in Europa, Australia, Canada e Giappone. Nel 2012 uscì il secondo disco, Bouger le monde. «Fu un successo ancora più clamoroso!», ricorda Mbaki Mambu Victor, che venne assoldato nella band come cantante per far fronte alla crescente richiesta di concerti. «Ci sdoppiavamo ogni sera per poterci esibire in posti diversi e soddisfare i nostri fan».
Gruppi misti
Ma l’enorme e inatteso boom alimentò gelosie, tensioni, screzi interni. Nel 2013, due colonne del gruppo, il percussionista Coco Ngambali e il cantante Théo Nzonza, lasciarono la band costringendola a cancellare un importante tour in Europa. Oggi gli eredi dello Staff Benda Bilili hanno creato un’omonima ong dedita a promuovere l’inclusione dei disabili. «Abbiamo deciso di investire i nostri guadagni nella realizzazione di sale prove, nell’acquisto di strumenti musicali, nell’organizzazione di corsi di alfabetizzazione, di chitarra, percussioni e canto rivolti alle persone più svantaggiate. Non vogliamo ghettizzare i disabili, al contrario: favoriamo l’integrazione attraverso la creazione di gruppi musicali misti».
I nomi? Handy Folk International, Handy Women Gospel, Marringa Blues, Mbonwana Star… Se andate a Kinshasa, non perdetevi i loro travolgenti concerti.
(Valentina G. Milani – foto di Bruno Zanzottera)