Tutto il mondo è paese? Riuscirà l’Africa a non omologarsi? Opportunità e rischi della rivoluzione digitale nel continente africano. Una riflessione di Marco Trovato, direttore editoriale della rivista Africa.
Un tempo, arrivando in Africa avevo la sensazione di approdare su un altro pianeta, tanto mi appariva diverso il mondo che mi circondava. Oggi, quando atterro in una capitale del continente ritrovo scene e immagini familiari: gente concentrata sullo smartphone, pubblicità di marchi di successo, affollati negozi di catene multinazionali che hanno colonizzato ogni angolo del mondo. La globalizzazione e la rivoluzione digitale hanno trasformato il pianeta in un grande villaggio, spingendo le popolazioni a uniformare comportamenti e stili di vita.
L’avvento delle nuove tecnologie rappresenta senza alcun dubbio una grande opportunità per l’Africa. L’exploit della telefonia mobile sta compensando la cronica carenza di linee fisse, colmando un gap tecnologico che limitava enormemente le possibilità di comunicare e di tenersi informati. L’accesso a internet ha permesso a 400 milioni di africani (un terzo della popolazione) di rompere la sensazione di isolamento, di dilatare gli orizzonti, di abbattere barriere che fino a poco tempo fa sembravano insormontabili.
Oggi anche a Nairobi, Lagos, Kinshasa, Dakar, i giovani utilizzano il web per collaborare a distanza, condividere contenuti, sviluppare idee e progetti. Esattamente come fanno i loro coetanei a qualunque latitudine. Fioriscono blog, applicazioni, startup, piattaforme realizzate da sviluppatori africani. E c’è chi sfrutta le potenzialità della Rete per farsi conoscere, promuoversi, esprimere a una platea mondiale il proprio talento artistico, culturale, imprenditoriale (contribuendo così a cambiare la percezione stessa dell’Africa nel mondo).
Internet ha favorito l’accesso alla conoscenza, promosso la partecipazione civica, incoraggiato e facilitato il controllo della società civile sui governanti (che non a caso cercano di limitare e censurare la libertà della Rete).
Ma la rivoluzione digitale ha favorito anche l’importazione e la diffusione di modelli culturali che stanno squassando le società tradizionali africane. «Un tempo, quando la sera ci radunavamo, i giovani ascoltavano i racconti degli anziani; oggi se ne infischiano: preferiscono starsene in disparte coi loro dannati aggeggi tecnologici tra le mani», mi ha confessato un vecchio amico senegalese. L’arbre à palabre (“l’albero della parola”), il tradizionale luogo in cui la comunità si ritrova per discutere e cimentare la coesione sociale, è stato soppiantato da chat e social network.
«La globalizzazione sta provocando una rivoluzione antropologica tra i giovani, che hanno una mentalità completamente diversa da quella dei loro genitori», riflette Mario Giro, autore di La globalizzazione difficile (Mondadori). «Le vecchie generazioni africane pensavano (e pensano) che le cose si dovessero fare insieme (come nazione, clan, etnia, o almeno classe di età). Oggi il concetto stesso di ubuntu (“io sono perché noi siamo”) appare un sogno svanito. Anche in Africa la priorità è il destino individuale».
Le nuove generazioni guardano all’Occidente – o meglio all’immagine che il nostro mondo ostenta – come a un faro. Ne sono attratte e naturalmente ne assorbono, assieme a stimoli e valori positivi, anche le distorsioni e i risvolti più problematici. Non solo l’individualismo, ma anche il consumismo sfrenato, l’assillo per il successo economico, la vita sempre più frenetica e spietata (chi non sta al passo, resti indietro, emarginato). La monetizzazione dei rapporti sociali e la frantumazione della famiglia allargata sono i sintomi della crisi iniziata con l’urbanizzazione e acuita oggi dalla digitalizzazione.
Quale futuro? «La modernità africana deve essere ancora inventata», ammonisce l’intellettuale senegalese Felwine Sarr, autore del recente Afrotopia (Edizioni dell’Asino). «Bisogna incorporare selettivamente tecnologie e discorsi occidentali in un universo culturale e politico africano, con la finalità di far nascere una modernità distinta e autonoma».
L’Africa con la sua straordinaria resilienza è sopravvissuta allo schiavismo, al colonialismo, al feroce saccheggio delle sue risorse. Riuscirà ora a non piegarsi al conformismo, a preservare la sua originale creatività, a non smarrire la strada, a resistere all’omologazione che pare avvolgere l’intero pianeta?