di Mario Giro*
Non fa distinzioni di Stati autoritari o democratici. La crisi debitoria tornata a palesarsi lo scorso anno continua a minacciare economie nazionali e cittadini. Cose già viste, e che parvero risolte intorno all’anno 2000, ma oggi il problema è più complesso.
Secondo i dati della Banca mondiale, a fine 2023 nove Paesi africani erano in difficoltà debitoria grave, non essendo in grado di onorare gli impegni di rimborso. Ciò concerne senza differenza Paesi autoritari e democratici, a dimostrazione che i fattori di rischio e i fondamentali economici non dipendono dal tasso di democraticità, né che i regimi autoritari siano più efficienti, come amano dire i loro sostenitori. Ci si domanda cosa possa garantire una politica economica efficace e responsabile: oggi quasi un quarto degli Stati africani si ritrova con lo stesso tipo di crisi sperimentata negli anni Novanta. Con l’anno 2000 molti di essi videro cancellato il proprio debito grazie a vari programmi multilaterali. Oggi il problema è più complesso, perché la maggior parte del debito è contratto bilateralmente con Stati esteri (leggi: Cina) o addirittura con privati (banche e fondi). Secondo Africa Report due cose colpiscono particolarmente: la prima è che diversi governi hanno commesso i medesimi errori del passato perché incoraggiati da finanziatori globali senza scrupoli, minando uno dei più grandi successi degli anni Novanta. La seconda è che tra i Paesi in difficoltà debitoria vi sono alcuni degli Stati più democratici del continente come il Ghana o il Malawi, e alcuni dei più autoritari, come il Sudan e lo Zimbabwe. La Banca mondiale ne indica altri 15 ad alto rischio di crisi. Il fatto che alcuni di questi siano too big to fail (troppo grandi per fallire) come il Kenya o l’Etiopia (che ha appena dichiarato di non poter pagare una tranche di soli 33 milioni di dollari), dimostra il rischio reale che una crisi di questo tipo possa scaricarsi sulla popolazione più povera. Anche se si riuscisse ad evitare il default, il costo del servizio del debito (cioè degli interessi) avrebbe un effetto pesante e prolungato sulla vita dei cittadini.
Dal 2020 l’Africa subsahariana ha speso globalmente più di 80 miliardi di dollari all’anno in pagamenti per interessi: preziose risorse che avrebbero potuto finanziare servizi pubblici o sussidiare le popolazioni di fronte all’aumento dei prezzi di cibo e carburante. C’è un reale costo umano dovuto a tale declino economico: il carico fiscale sta giungendo al 40% dei redditi, a fronte di servizi pubblici davvero scadenti. Oltre all’austerità imposta, uno dei nuovi problemi da affrontare per i Paesi africani è la continua disputa tra creditori. Tale crisi ha un impatto significativo sulla classe media africana che stava nascendo e che ora stenta a mantenersi: quei lions on the move che avevano fatto ben sperare solo alcuni anni fa, all’epoca dell’Africa rising.
Ci sono poi Paesi particolarmente corrotti o attraversati da crisi violente, come la Repubblica Democratica del Congo, dove circa 26 milioni di persone soffrono di gravi carenze alimentari e le ultime elezioni non hanno dato risposte. Nei Paesi dell’Africa occidentale la combinazione tra instabilità politica e aumento dei prezzi alimentari sta lasciando milioni di cittadini in condizioni molto vulnerabili. La perdita di speranza può incoraggiare i giovani a sostenere soluzioni estreme come i golpe militari. Ma i governi dell’esercito non hanno frenato il declino economico: in Niger, ad esempio, la giunta è stata costretta ad annunciare una riduzione del 40% del bilancio nazionale a causa del terribile mix tra sanzioni Ecowas e impatto negativo dell’instabilità politica. La riapertura dei traffici di migranti verso la Libia mediante l’annullamento del decreto di alcuni anni fa cerca di rianimare il settore dei trasporti, con effetti probabilmente devastanti anche per la società locale a causa della possibile penetrazione jihadista.
Il pessimismo avanza: secondo l’Afrobarometer (che esamina quasi 40 Paesi ogni due anni) solo il 9% degli africani intervistati ritiene che i 12 mesi del 2024 saranno migliori dei precedenti. Si tratta del risultato più basso mai registrato. La rabbia sociale e la frustrazione economica possono compromettere la volontà a investire danneggiando ulteriormente la crescita economica. Nel 2024 c’è da attendersi un aumento della povertà, con un parallelo rafforzamento della tendenza a migrare.
*L’autore dell’articolo, Mario Giro, africanista, docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università per Stranieri di Perugia, autore di “Global Africa” e di “Guerre Nere”, editorialista della rivista Africa, sarà presente alla prossima edizione di Dialoghi sull’Africa. Programma e iscrizioni: https://www.africarivista.it/dialoghi24/