Il Senegal ha la febbre. Dell’oro

di AFRICA

Da quando, dieci anni fa, è stato scoperto il prezioso metallo nel sottosuolo senegalese, migliaia di uomini e donne sono accorsi nella zona dei giacimenti. Siamo andati a vedere come vanno le ricerche…

La febbre dell’oro ha trasformato la regione senegalese di Kédougou, confinante con Mali e Guinea, in un territorio crivellato di buchi. Gli scavi circondano le località di Diabougou, Bantakouta e Samekouta, che richiamano schiere di minatori da tutta l’Africa occidentale. La corsa al metallo prezioso è iniziata dieci anni fa, quando, durante le attività di estrazione del carbone, sono stati rinvenuti per caso granelli e pagliuzze sfavillanti. In poco tempo la notizia dell’eccezionale ritrovamento ha fatto il giro dell’Africa occidentale. Da allora, l’intera area ha subìto forti stravolgimenti: a causa del notevole aumento della popolazione, i piccoli villaggi di capanne sono diventati baraccopoli di lamiera gremite di gente. Le condizioni igieniche sono pessime, gli odori acri e penetranti dei rifiuti si mescolano ai miasmi che aleggiano sui rivoli di acqua sporca. Le strade sono affollate di motociclette che fanno la spola tra le miniere e i centri abitati dove si addensano negozi, ristoranti, meccanici e rivenditori di benzina.

Senza sicurezza

La caccia all’oro in Senegal è in parte sotto il controllo delle grandi società private straniere che gestiscono l’estrazione e organizzano il territorio in maniera diretta; in larga parte è però condotta da avventurieri e disperati. In questo caso, i terreni in cui avviene l’estrazione sono liberi e chiunque possieda gli strumenti necessari può tentare la fortuna. Le attività sono supervisionate da un uomo, designato dal capo del villaggio a cui l’area appartiene, che ha il compito di risolvere e mediare le controversie, garantendo la sicurezza. Ogni mattina all’alba, migliaia di minatori, di etnie ed età differenti – da ragazzini quattordicenni, agili nell’infilarsi nei cunicoli più stretti, fino a uomini sulla quarantina, esperti e rapidi durante le procedure di estrazione dei secchi – lasciano le loro catapecchie e si dirigono al luogo degli scavi.

Lavorano ininterrottamente per dieci ore, fino al tramonto, sotto il sole cocente, con mezzi e strumenti rudimentali. Le cavità in cui si calano a turno sono piccole fessure irregolari, profonde fino a cinquanta metri. I crolli sono frequenti, specie durante la stagione delle piogge, quando la terra si fa fangosa e poco stabile. Gli episodi mortali si contano a decine, negli ultimi anni. «Oggi non lavoriamo perché siamo in lutto – ci raccontano, con lo sguardo avvilito, dei minatori di Diabougou –. Ieri un ragazzino è scivolato sulla terra limacciosa mentre risaliva da una buca e ha fatto un volo di venti metri. Ogni tentativo di rianimarlo è stato inutile».

Chi ci guadagna

All’interno delle buche l’aria è pesante, il caldo soffocante, man mano che si scende il buio si fa sempre più intenso. I minatori si fanno luce con piccole torce legate alla testa. Aggrappati alle pareti, in precario equilibrio, frantumano la roccia coi picconi fino a riempire sacchi che vengono poi tirati su a fatica dai compagni. In superficie, le donne hanno il compito di spaccare le pietre. Altri manovali si occupano di trasportare fino al fiume, a spalla o con le carriole, i sacchi di iuta pieni di ciottoli. Con l’ausilio dell’acqua e di setacci artigianali si separa il pietrisco dalla fanghiglia, alla ricerca delle ambite pietruzze luccicanti.

A fine giornata, ogni squadra di lavoratori vende l’oro raccolto, circa 10.000 franchi Cfa (15 euro) al grammo, a stuoli di trafficanti locali che attendono pazienti, seduti su panche di legno, all’ombra di grandi teloni, poco lontano dal luogo in cui avviene l’estrazione. Il ricavato è suddiviso tra i membri di ogni squadra (composta di sette-otto lavoratori) e il finanziatore che ha pagato per le attrezzature necessarie all’estrazione. Il guadagno per i minatori non è alto – soprattutto se pensiamo al valore finale dell’oro –, ma è comunque un reddito prezioso per mantenere la famiglia. Una volta in mano ai trafficanti, l’oro raccolto imbocca strade differenti: una piccola parte viene lavorata in botteghe artigianali della capitale Dakar per essere venduto al dettaglio (oggi, a 35 euro al grammo). Il resto parte per l’Europa, entrando così nel mercato globalizzato con cui ogni giorno ci interfacciamo.

(Chiara Sgreccia – foto di Alessandro Cinque / Le foto del servizio sono state realizzate grazie alla collaborazione di Cospe, onlus fiorentina da lungo tempo attiva sul territorio senegalese con progetti di cooperazione e sviluppo sociale)

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