Negli ultimi 10 anni, la produzione di cipolle del Senegal è aumentata in modo significativo, fino a raggiungere le 450.000 tonnellate all’anno. Questo risultato avrebbe dovuto tradursi in una piena autosufficienza, dal momento che il fabbisogno interno del Paese è stato stimato in 10.000 tonnellate annue. Così non è. Le carenze legate alla conservazione e allo stoccaggio, così come l’assenza di un’industria di trasformazione fanno sì che buona parte del raccolto rimanga invenduto e marcisca, costringendo il Paese in alcuni momenti dell’anno ad approvvigionarsi all’estero. In particolare, da nazioni europee, come per esempio i Paesi Bassi.
Quest’anno, riferisce Rfi che al tema ha dedicato un approfondimento, più di un terzo della produzione andrà sprecato. Questo ha messo in ginocchio i piccoli produttori, che sono anche quelli che accedono con maggiori difficoltà al credito e all’utilizzo di piattaforme di stoccaggio adeguate. Il disastro è già visibile nei magazzini, dove le cipolle stanno germogliando, e per le strade, dove giacciono sacchi di cipolle invendute che nessuno acquista, nonostante il prezzo stracciato: un sacco di cipolle da 25 chili veniva venduto a circa 13 euro pochi mesi fa, oggi a meno di sette.
Gli agricoltori accusano la concorrenza straniera e la carenza di piattaforme di stoccaggio. Il governo accusa gli agricoltori di avere prodotto più del necessario.
Babacar Sembene, commissario per le indagini economiche presso il ministero del Commercio senegalese, interpellato da Rfi, ha elencato vari elementi di criticità: la mancanza di coordinamento tra le regioni di produzione; i semi poco performanti che producono cipolle di scarsa qualità, che iniziano troppo presto a germogliare; la tendenza a preferire l’insaccamento in confezioni che oscillano tra i 40 e i 50 chilogrammi, che non sono funzionali alla conversazione e non sono neanche a norma; la carenza delle infrastrutture di collegamento e i tempi di trasporto lunghissimi. “Tutto deve essere venduto rapidamente e il mercato è rapidamente saturo”, ha detto Sembene. “E anche se la cipolla viene cucinata con tutti i sughi del Paese, il consumo interno non basta per vendere la merce che si deteriora velocemente”.
Da qui il paradosso di un Paese che sovraproduce un prodotto agricolo ma alla fine è costretto a ricomprarlo all’estero e a caro prezzo. “L’impressione di sovrapproduzione che possiamo avere sui mercati è quindi solo temporanea”, ha spiegato ai microfoni di Rfi Abdoulaye Seck, professore di Economia all’Università Cheick Anta Diop di Dakar (Ucad). Seck, intervenendo alla radio, ha sottolineato la difficoltà di impostare una strategia per la vendita della produzione in Paese. La riserva di cipolle in dotazione al Paese, secondo le previsioni degli esperti, dovrebbe esaurirsi già in autunno. Il Senegal si prepara quindi, nei prossimi giorni, ad autorizzare l’importazione di cipolle europee. In questo contesto, l’esportazione delle cipolle senegalesi non è una priorità, anche se in primavera sono partiti un centinaio di container per la Spagna, oltre alle poche spedizioni verso i paesi limitrofi.