di Valentina Geraci
Intervista a Faburama Ceesay, giovane talento di origini gambiane, sarto, stilista e titolare della sartoria sociale Kanö, un ponte tra Italia e Gambia, portata avanti con creatività e passione. Il suo obiettivo è quello di offrire un’alternativa ecologica per l’ambiente, con prodotti ecosostenibili realizzati con tessuti gambiani.
Ogni gesto che compi e ogni tua azione hanno un impatto non solo nello spazio dove questi prendono forma, ma si diffondono e giocano forza anche più lontano. Le persone che hai attorno, i luoghi che vivi e quelli ai quali, con le tue attività, ti rivolgi si connettono con le tue azioni, anche a chilometri di distanza. Tante storie di migrazione ce lo insegnano, oggi forse più che mai. Una doppia presenza, sia questa fisica o virtuale, caratterizza la vita di tanti giovani migranti in Italia, che continuano a tessere relazioni con i Paesi d’origine, creando opportunità, scambi e avendo impatti concreti sia qui che lì. Progetti di vita di “circolarità”, come quello di Faburama Ceesay, giovane talento di origini gambiane, sarto, stilista e titolare di una sartoria che continua a muoversi fra Italia, dove vive, e Gambia, dove è cresciuto. Ci ha raccontato la sua storia.
Iniziamo con una presentazione. Ti va di raccontarci chi sei e i motivi che ti hanno portato in Italia?
Ciao a tutti, mi chiamo Faburama. Sono nato in Gambia, un piccolo Stato africano meglio conosciuto con il nome “The Smiling Coast” per la sua posizione sull’oceano e per la calorosa accoglienza della gente. Ho studiato e sono cresciuto nei dintorni di Serrekunda, la più grande città del Paese. Alla scuola e agli studi ho accompagnato fin da piccolo le mie più grandi passioni: il calcio e il cucito.
In Gambia sono tantissimi, giovani e meno giovani, con competenze nel mondo della sartoria. Il problema è che non sempre il Gambia dà le opportunità che cerchi. Tante volte toglie, altrettante nega. Nel 2014 ho così deciso di lasciare la mia famiglia e raggiungere l’Italia con in testa l’obiettivo di continuare a coltivare i miei sogni.
Posso dirti che qui sono stato molto fortunato e, tra la famiglia e le partite di calcetto al campo con gli amici, mi sono impegnato al punto di riuscire a creare il mio brand. Grazie alla collaborazione di mia moglie, è nata infatti qualche anno fa la sartoria sociale Kanö, che nella mia lingua (mandinka) significa Amore.
Oggi sono felice. Sto per diventare padre in Italia e continuo a mantenere legami molto forti con la famiglia in Gambia, dalla quale spesso torno e con la quale stiamo creando una serie di progetti per offrire opportunità di lavoro a tanti giovani ragazzi che, come me in passato, vogliono lasciare la loro terra.
Dalla sartoria (di cui abbiamo parlato qui) a iniziative tra scuole e biblioteche, dalla partecipazione a eventi nazionali ai racconti della tua storia in centri culturali e universitari: il tuo attivismo in Italia, in diverse realtà, ha come minimo comune denominatore il desiderio di promuovere una narrazione diversa del continente africano e del Gambia in particolare.
Nonostante abbia lasciato il Gambia da un paio d’anni ormai, non dimentico il Paese che mi ha visto nascere e crescere, non dimentico il mio sole, il mio oceano, le mie affollate strade, la mia famiglia, la mia gente, i tanti giovani con i miei stessi sogni e le mie stesse passioni. Non è corretto continuare a essere dipinti con parole monotone, che danno sempre quell’idea negativa su di noi, noi “cittadini stranieri”. Qui in Italia sta per nascere mio figlio, dove probabilmente crescerà. Voglio essere pronto a saper difendere la sua identità, la sua storia e la mia terra d’origine. Esiste un’Africa diversa, esistono tante storie positive e non raccontare le due, o più facce, della medaglia è una scelta. Ed è con le scelte di ciascuno di noi che le cose possono avere l’opportunità di cambiare!
Le relazioni che porti avanti e i viaggi periodici in Gambia, oltre al desiderio di mantenere in vita i rapporti con la famiglia, dalle tue parole sembrano essere anche occasione per creare opportunità di lavoro lì, corretto?
Assolutamente. Sento addosso il bisogno e la voglia di costruire qualcosa di concreto, qualcosa di grande che tocchi la famiglia ma che vada anche oltre, con un impatto su larga scala. Grazie alla sartoria, oggi lavorano in Gambia diverse persone del luogo che ci supportano nelle nostre attività. Per farti un esempio, abbiamo assunto un taxi driver che si muove tra le strade della capitale (e non solo) ad accompagnare i cittadini del posto e i turisti nei loro tour.
Ci tengo a sottolineare che la mia terra ha un sacco di potenziale, ma che purtroppo non sempre è ben speso. La cosa che più di tutte desidero oggi è dare una risposta concreta a giovani sarti e stilisti in Gambia. Stiamo lavorando per la costruzione di una sartoria nel mio Paese d’origine con l’obiettivo di promuovere corsi di formazione sartoriale periodici, di fornire ai giovani talenti emergenti strumenti e metodologie per la crescita professionale e personale e, infine, vogliamo investire in una crescita che oserei definire collettiva.
Da ultimo, in queste connessioni tra Paese d’origine e Paese di partenza, il lancio della campagna Woman, Life, Freedom. Ce ne vuoi parlare?
Protagoniste assolute le donne e il loro essere combattenti. La Campagna Woman, Life, Freedom è proprio frutto di questi scambi tra Italia e Gambia.
Nei miei viaggi di ritorno a casa, mi sono reso sempre più conto che tra le maggiori difficoltà nel Paese, oltre l’accesso al lavoro, tra i problemi più grandi quello relativo alla questione ambientale e all’accesso all’educazione sessuale per tante donne. Ho così pensato a come potessi creare una sorta di trait d’union tra questi temi e da qui abbiamo lanciato la Campagna, ancora in una sua fase iniziale. L’idea è quella di diffondere un kit che raccolga prodotti come assorbente lavabile in tessuto wax, salviettine bio, brochure informativa nelle lingue locali e preservativi che possano essere una risposta alle esigenze e alle tradizioni delle donne in Gambia, una risposta offerta da sarti e informatori gambiani in collaborazione con realtà italiane che lavorano con il Paese.
Vogliamo offrire un’alternativa ecologica a livello ambientale con tessuti locali e che si muova da giovani gambiani per la gente del posto, unendo il prezioso lavoro delle organizzazioni che si impegnano ogni giorno nella terra che mi ha accolto.
La circolarità delle migrazioni esiste, ma funziona al meglio quando da entrambi i lati, sia qui che lì, si apprezza lo scambio, la reciprocità delle cose e l’impatto di questo lavoro.