In Africa è facile uccidere un giornalista

di Enrico Casale
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giornalista africanoTempi duri per i giornalisti in Africa. Non solo è sempre più rischioso fare informazione, ma non c’è giustizia per chi viene ucciso in servizio. A denunciarlo è il Committee to Protect Journalists (Cpj) che ieri, 27 ottobre, ha reso pubblico il Global Impunity Index.

I dati del Global Impunity Index riguardano 13 Paesi che rappresentano l’80% degli omicidi irrisolti in tutto il mondo dal 2006 al 2016. Solo il 3% del totale dei casi di uccisioni di giornalisti nel decennio ha avuto piena giustizia. Secondo l’indice, il 25% dei sospettati sono governativi o militari funzionari e il 40% è costituito da gruppi politici, tra cui gli estremisti quali Stato islamico. L’indice calcola il numero di omicidi di giornalisti irrisolti come percentuale della popolazione di ciascun paese. Solo le nazioni con cinque o più irrisolti i casi sono stati inclusi.

Dal 2006, in Africa, 34 casi di omicidio di giornalisti sono rimasti irrisolti: 24 in Somalia, cinque in Sud Sudan e cinque in Nigeria. In Somalia, il Comitato punta il dito contro l’utilizzo dei tribunali militari. I giudici militari non sarebbero sempre in grado di fare giustizia anche perché, spesso, i giornalisti vengono eliminati proprio da militari o da sicari loro collegati. Ciò eliminerebbe ogni possibilità di processo giusto.

giornalista africanoIn Sud Sudan, a gennaio 2015 sono stati uccisi cinque giornalisti con armi da fuoco e a colpi di machete. I loro corpi sono poi stati bruciati. La loro colpa principale era quella di trovarsi in un convoglio organizzato da politici. Per loro non c’è stata alcuna giustizia.

Anche lo Stato nigeriano, che pure è una grande democrazia, è stato negligente nell’individuare e perseguire i colpevoli, responsabili per l’omicidio di cinque giornalisti negli ultimi 10 anni. Secondo la ricerca, le lacune nelle indagini sarebbero legate, come in Somalia, al coinvolgimento delle forze di sicurezza negli omicidi.

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