Sul fronte della lotta alla fame ci sono due notizie. Una è positiva: la fame è scesa di più di un quarto dal 2000. E una negativa: i continui conflitti e gli shock climatici potrebbero mettere a rischio questi buoni risultati. Ad affermarlo è l’Indice della fame globale, un rapporto redatto dall’Ong Concern e dall’International Food Policy Research Institute and Welthungerhilfe, che sarà presentato ieri 11 ottobre a Roma. L’indice si basa sui livelli di fame nella popolazione, sui tassi di spreco e sul numero di morti tra i bambini sotto i cinque anni di età.
Quasi la metà dei 119 Paesi esaminati a livello mondiale dagli esperti ha avuto tassi di fame «seri», «allarmanti» o «estremamente allarmanti» tra il 2012 e il 2016.
«I conflitti e gli shock legati al clima hanno fatto fare un passo indietro alla lotta alla malnutrizione», ha dichiarato Dominic MacSorley, chief executive di Concern. I rapporti delle Nazioni Unite confermano questa tendenza. Secondo l’Onu, il mese scorso i livelli globali di fame sono aumentati per la prima volta da un decennio e attualmente colpiscono l’11% della popolazione mondiale (815 milioni di persone) soprattutto nel continente africano.
I casi più drammatici sono in Africa: Repubblica Centrafricana, Ciad, Sierra Leone, Madagascar e Zambia. In questi Paesi, circa la metà della popolazione non ha cibo e la fame è la causa di quasi la metà dei decessi dei bambini con meno di cinque anni. Quest’anno, la guerra civile ha causato una vasta carestia nel Sud Sudan, ma sono stati colpiti anche la Nigeria e la Somalia. In Nigeria la carenza alimentare è legata all’insurrezione islamista di Boko Haram che, da otto anni, sta colpendo soprattutto il nord-est, provocando milioni di morti e impedendo la coltivazione dei campi e le normali attività artigianali. Non molto diversa la situazione della Somalia nella quale la guerra civile in corso dal 1991 ha messo in ginocchio l’economia locale.
«Dobbiamo costruire la resilienza delle comunità sul terreno, ma dobbiamo anche rafforzare la solidarietà pubblica e politica a livello internazionale», ha dichiarato MacSorley.
Ai dati negativi si affiancano quelli positivi. L’indagine ha messo in evidenza come 14 Paesi (tra i quali Senegal, Azerbaigian, Perù, Panama, Brasile e Cina) hanno fatto significativi miglioramenti dal 2000.
«Il mondo – ha concluso MacSorley – deve agire come una comunità con l’obiettivo condiviso di assicurare che un solo bambino non vada a letto affamato ogni sera e nessuno è lasciato alle spalle».