Ufficialmente è nato l’Islamic State Central Africa Province, una sorta di emanazione del Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi che recentemente ha quasi completamente perduto militarmente i territori che controllava tra Siria e Iraq. Con una serie di messaggi postati su Twitter, Telegram e altre piattaforme digitali dall’agenzia Amaq e dal bollettino Al-Furqan, entrambi organi di propaganda del Califfato, vengono rivendicati decine di attacchi compiuti negli ultimi mesi nel Nord-est della Repubblica democratica del Congo, per la precisione nella provincia del Nord Kivu. A compiere gli attacchi sono state una miriade di formazioni armate che compongono il variegato panorama di queste regioni, ma soprattutto molte di queste azioni sono attribuite al gruppo nato in Uganda e di ispirazione salafita Allied Democratic Forces (Adf). Le località colpite con attacchi di varia portata sono Kamango, Bovata, Ngite, Beni, Butembo, ma anche villaggi minori. Queste operazioni vengono definite da Amaq e Al-Furgan l’inizio del processo di liberazione. Di fronte a queste notizie qualche riflessione si impone.
La prima è che questa è una delle regioni più evangelizzate d’Africa, missionari e Chiesa cattolica qui si sono spesi con maggiore energia e la popolazione è quasi totalmente di fede cristiana. Che vi nasca uno Stato Islamico è qualcosa di veramente anomalo e poco spiegabile.
La seconda riflessione è che l’Isis si pone come obiettivo la costruzione di uno Stato Islamico, appunto, a differenza dell’altro grande cartello del Jihadismo internazionale, al-Qaeda, che invece adotta una strategia che punta a portare l’attacco al cuore degli infedeli con attentati clamorosi e operazioni di grande effetto mediatico (per esempio con gli attacchi dell’11 settembre o quelli di Londra e di Madrid). Lo Stato Islamico punta a demolire i confini disegnati dall’Occidente, a cancellare gli Stati e costruire l’Umma, cioè la comunità dei fedeli. Nel Kivu alcune regioni sono già irraggiungibili perché totalmente insicure. Era accaduto qualcosa di analogo nel 2014 nello Stato nigeriano di Borno, con Boko Haram, che aveva costituito il “suo Stato Islamico” demolendo le frontiere costruite con grande diplomazia da Francia, Germania, Gran Bretagna a inizio del Novecento tra Camerun, Niger, Nigeria e Ciad, che raggiungevano tutte le coste del Lago Ciad.
La terza riflessione è una domanda. Per mantenere una formazione armata con una buona capacità bellica e logistica, e per rifornirla di combattenti, sono necessari finanziamenti di una certa importanza. Chi sta investendo sul terrorismo islamista nella regione dei Grandi Laghi? Per rispondere a questa domanda mi limito a fare un esempio: la Somalia alla fine degli anni Ottanta, prima della guerra civile, era l’unico Paese africano ad aderire alla Lega Araba, la cui popolazione era tutta di fede musulmana. Ma la Somalia era anche uno dei Paesi più “occidentali” dell’intero continente, con un islam più che tollerante e gentile (il vestito tradizionale femminile era un panno sgargiante che si indossava lasciando scoperta una spalla). A quei tempi i maggiori investitori erano l’Europa, e l’Italia in primo luogo. Oggi, dopo oltre vent’anni di guerra civile e immense somme di denaro elargite dalle monarchie del Golfo ai signori della guerra, la Somalia ha cambiato volto: tutte le donne sono pesantemente velate ed è nata una formazione islamista che si chiama al-Shabaab. Oggi i maggiori investitori sono il Qatar e la Turchia. Che sia in atto un processo analogo anche nella regione dei Grandi Laghi, che peraltro è una delle più ricche del continente?
Infine c’è da dire che quella che si sta svolgendo nel Kivu sembra una tappa del processo di “scoperta” dell’Africa da parte del terrorismo Jihadista, che, in molti casi, è arrivato prima – in concomitanza e in concorrenza – di Occidente, cinesi, russi, ecc. Non è un caso che l’Africa oggi sia largamente permeata e resa pericolosa dal terrorismo (vedi quasi tutto il Sahel, una buona parte della costa orientale, la Nigeria, anche l’impensabile Mozambico… Ora i Grandi Laghi e l’altrettanto impensabile Kivu).
(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)