In questi tempi difficili per i diritti delle persone LGBTQA+ nel continente, con l’inasprirsi delle leggi che puniscono l’omosessualità, la rappresentazione visiva, come quella cinematografica, resiste e non rinuncia, nonostante le difficoltà, a portare sullo schermo la vita queer in Africa. Negli ultimi anni le cose sono cambiate grazie allo sforzo di registi indipendenti che sfidano la censura.
La rivista The Conversation ha pubblicato di recente un interessante editoriale circa l’ultimo libro di Gibson Ncube, autore di “Queer Bodies in African Films”. Secondo Ncube negli ultimi tempi c’è stata una crescita costante di film che descrivono l’esperienza queer africana nonostante gli sforzi di alcuni paesi di stigmatizzare e criminalizzare la comunità LGBTIQA+.
La censura di molti Paesi non blocca le produzioni cinematografiche che talvolta si spostano altrove pur di raccontare storie e vite di persone LGBTIQ+ in Africa. Una delle principali differenze tra i film del nord e del sud del Sahara – secondoGibson Ncube – è l’apertura e la libertà di rappresentazione. Nei film nordafricani, la “queerness” esiste nel silenzio. Nei film sub-sahariani invece si evidenzia uno spostamento verso rappresentazioni più palesi. In entrambi i casi i film sono un modo per mostrare le realtà culturali e sociali delle società rappresentate, senza esclusioni.
Il giornale Okay Africa offre una panoramica di titoli di film africani che spaziano le tematiche LGBTIQA+. Tra questi troviamo, per esempio: “Ìfé” (2020), la storia di due donne che vivono in una società omofoba, scritto e diretto da Uyaiedu Ike-Etim; Country love di Wapah Ezeigwe; Coming out of the Nkuta, (2011 )la storia di un avvocato difensore camerunese che difende coraggiosamente le persone queer arrestate.