di Mario Ghirardi
Dopo due anni caratterizzati da un quadro migratorio sostanzialmente immutato, sta aumentando in maniera considerevole il numero di minori stranieri non accompagnati che migrano in Italia dall’Africa e dall’Oriente. Capofila sono i minori egiziani che costituiscono il 18 per cento degli arrivi, quasi raddoppiati rispetto al 2020. Secondo gruppo africano più numeroso sono i tunisini con il 12,7 sceso dal 15,3 dell’anno prima, ma quasi decuplicato dal 2017.
Sta vertiginosamente aumentando il numero di minori stranieri non accompagnati (chiamati in gergo tecnico con l’orribile acronimo di MSNA) che migrano fortunosamente in Italia attraverso le frontiere terrestri e marittime, dall’Africa e dall’Oriente. Il fenomeno è particolarmente preoccupante non solo perché avviene in un quadro di migrazioni sostanzialmente immutato negli ultimi due anni, ma soprattutto per quanto può essere traumatico per il minore stesso piombare senza rete di appoggi, né protezioni in un Paese straniero, che ha molte difficoltà a supportarlo sia in termini economici, sia psicologici.
Quale futuro l’Italia può riservare loro? Occorre considerare che a fine giugno scorso questi minori, africani e non, presenti sul territorio nazionale erano 15595, numero raddoppiato rispetto all’anno precedente e addirittura quadruplo rispetto al 2020. Di questi il 20 per cento sono oggi di sesso femminile rispetto all’esiguo 3,3 per cento del 2021. Il 4 per cento di loro è di età addirittura inferiore ai 6 anni, mentre il 10 per cento sta nella fascia tra i 7 e i 14 anni. Sono cifre impressionanti, anche qui dunque con vertiginose tendenze al rialzo (il primo gruppo di ragazzini è in un solo anno diventato quattro volte più numeroso, mentre il secondo è raddoppiato). I numeri ce li forniscono i puntualissimi ricercatori del Centro studi e ricerche Idos che hanno appena sfornato il sostanzioso Dossier annuale statistico sull’immigrazione.
Se i numeri sono impressionanti, non da meno sono le motivazioni che spingono i minori alla fuga. Da un lato c’è certamente la volontà di non piegarsi alle criticità familiari, ma dall’altro, e non in misura secondaria, il piano di immigrazione verso l’Italia è pianificato addirittura dalla famiglia stessa, africana o europea o asiatica che sia. Il dato è sconcertante, perché l’esporre il proprio figlio al rischio di un viaggio solitario e insidiosissimo in così tenera età passa evidentemente in secondo piano rispetto alla percepita, urgente necessità di sottrarsi ad una situazione insostenibile in patria per motivi economici e ambientali e di fare fronte a nuovi bisogni. L’emotività spesso oltretutto gioca un ruolo fondamentale, persino superiore al razionale calcolo dei rapporti tra costi e benefici, che nemmeno la pandemia in corso è in grado di scalfire, sottolineano i ricercatori cercando di dare anima alla forza dei numeri. La famiglia prepara il viaggio, lo finanzia, sceglie il momento della partenza e la destinazione. Sulle stesse rotte e sugli stessi barconi finiscono così da almeno un decennio nel Mediterraneo i minori che fuggono per fame e quelli che vogliono sottrarsi a guerre e persecuzioni.
A questo proposito è innegabile che numeri così importanti siano legati allo scoppio della guerra in Ucraina che ormai va avanti da dieci mesi. Nel 2019 infatti sono stati intercettati 6251 minori, nel 2020 8939 (43 per cento in più), nel 2021 16575 (85 per cento in più), al 30 giugno 2022 12498 con incremento del 55 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Via mare nel ‘19 ne sono arrivati un quarto del totale, nel ‘20 la metà e nel ’21 oltre il 60 per cento. Il fatto che pesino le fughe dall’Ucraina lo dimostra l’incidenza degli arrivi via mare, che nei rimi 6 mesi dell’anno è scesa in percentuale al 27 del totale, facendo dunque diventare maggioritari gli arrivi via terra.
Anche la presenza attuale dei minori soli in Italia riflette questa situazione. Gli ucraini costituiscono infatti al 30 giugno scorso il 34,6 del totale, mentre nelle statistiche 2021 neppure apparivano. Queste ultime, che segnalano un forte peso soprattutto di ragazzi originari del Bangladesh (23,1 per cento), di albanesi e pakistani, sono zeppe di nativi provenienti dai Paesi africani. Capofila sono i minori egiziani con il 18 per cento, quasi raddoppiati rispetto al 2020 (i dati erano stabili dal 2017). Situazione inversa per i gambiani passati all’1,9 rispetto al 12 di 5 anni prima. Secondo gruppo africano più numeroso sono i tunisini con il 12,7 sceso dal 15,3 dell’anno prima, ma quasi decuplicato dal 2017. In forte discesa i minori della Costa d’Avorio (3,8, dimezzati), dell’Eritrea (2,1), della Guinea (2,9), del Mali (1,7) e della Somalia (3,8 dal precedente 4,6). Stabili i marocchini al 1,3 per cento.
In conclusione si può dire che gli africani adolescenti provenienti dalla fascia subsahariana erano prevalenti 5 anni fa; oggi peso maggiore hanno invece gli africani provenienti da due Paesi del Mediterraneo, Egitto e Tunisia, oltre che i minori asiatici. Quei ragazzi e quelle ragazze sono fragilissimi. Per integrarli nella società e non condannarli ad un futuro di stenti e sfruttamento, servono nuove e rapide risposte politiche, che purtroppo però non si scorgono all’orizzonte.