Il bubbone, prima o poi, doveva esplodere. Ed è esploso. La rabbia della comunità etiope di Israele è esplosa domenica con una dimostrazione contro le violenze, il razzismo e le discriminazioni cui sono soggetti i suoi membri. Il la alla protesta è stata dato dal pestaggio cui è stato sottoposto Damas Fekade, un giovane soldato di origini etiopi, da parte di alcuni poliziotti. La manifestazione, iniziata in modo pacifico, è degenerata in scontri con la polizia che hanno fatto numerosi feriti. In piazza si sono sfogati anni di frustrazioni da parte di una comunità che non ha mai ricevuto la giusta attenzione né dall’ebraismo mainstream né, tanto meno, dai vari Governi israeliani.
Gli ebrei etiopi sono gli eredi di una comunità antichissima. Le origini dei beta Israel, come si autodefiniscono, sono però avvolte nel mistero. Secondo una leggenda sarebbero i discendenti degli ebrei che seguirono Menelik I (figlio di re Salomone e della regina di Saba) quando questi rientrò in Etiopia dalla Palestina. Secondo un’altra versione discenderebbero da un gruppo di ebrei che, invece di seguire Mosè nel suo viaggio verso la Terra promessa, risalì il Nilo fino al Lago Tana. Alcuni studiosi sostengono, invece, che le loro origini risalgono alla tribù scomparsa di Dan. Altri ancora che i loro antenati sarebbero etiopici cristiani tornati allo studio dell’Antico Testamento. Al di là delle origini, la vita in Etiopia per i beta israel è sempre stata dura. I negus li discriminavano. Solo Hailé Selassié concesse loro maggiori diritti, ma l’avvento al potere del «negus rosso» Mengistu Hailè Mariàm li ricacciò nelle persecuzioni.
Il loro giudaismo è particolare, poiché essi riconoscono come dottrina e come culto solo il Pentateuco, ignorano l’ebraico e utilizzano il ge’ez (etiopico arcaico) come lingua di culto. Nonostante queste particolarità, però, nel 1975 il Gran rabbinato d’Israele li riconobbe come autentici ebrei. Questo fornì al Governo di Gerusalemme, da sempre interessato a far arrivare in Israele gli ebrei delle comunità sparse nel mondo per contrastare la forte dinamica demografica palestinese, il pretesto di organizzare due ponti aerei per portare i beta israel nella Terra promessa.
Appena arrivati, il rabbinato impose loro una conversione rituale e non riconobbe il ruolo religioso dei loro sacerdoti. Questo offese la comunità etiopica che si sentì emarginata. Convinzione rafforzata dalla difficoltà di integrazione di un popolo che, abituato a vivere secondo ritmi di vita arcaici, faceva fatica ad adeguarsi alla società postmoderna israeliana. E, infatti, nonostante i diversi Governi nel tempo abbiano messo in campo numerosi servizi sociali ed educativi, i beta israel hanno continuato a vivere ai margini, dovendo fare i conti con una disoccupazione al di sopra della media nazionale, difficoltà linguistiche, devianza giovanile, ecc.
Il pestaggio di un soldato etiope ha scatenato quindi la rabbia della comunità. Una rabbia che ha preoccupato anche il Primo ministro Benjamin Netanyahu che ricevendo il soldato etiope percosso, ha detto che «il razzismo nel Paese deve essere eliminato». Il Presidente israeliano ha aggiunto: «Dobbiamo fare i conti con questa ferita aperta. Abbiamo sbagliato. Non abbiamo guardato e non abbiamo ascoltato abbastanza». Basteranno queste parole a riportare la calma? E, soprattutto, a emarginare il razzismo?