Possiamo ragionevolmente prevedere che l’emergenza coronavirus spazzerà via quest’anno gli eventi, gli incontri e i dibattiti dedicati all’8 marzo. Noi però vogliamo dedicare un post al tema, riprendendo il contenuto di un recente studio Ismu che rileva come, in Italia, la migrazione sia divenuto un fenomeno prevalentemente femminile.
In base ai dati Istat, al 1° gennaio 2020 sono infatti due milioni e 235mila le donne adulte straniere regolarmente residenti in Italia, contro poco più di due milioni e 46mila uomini. In termini percentuali vuol dire il 52,4% degli adulti immigrati. Fino al 2005 si registrava una tendenza opposta. A partire da 15 anni fa, la componente femminile ha cominciato ad acquisire un peso sempre maggiore dovuto sia all’aumento dei ricongiungimenti familiari (per lo più femminili), sia all’allargamento a Est dell’area di libera circolazione europea, che ha comportato l’incremento di nuovi flussi (soprattutto, anche se non solo, di assistenti domiciliari e “badanti”). Ismu calcola infatti che dal 1° gennaio 2005 al 1° gennaio 2020 il numero di donne immigrate ha registrato un aumento del 141% (contro un incremento degli uomini del 112%).
Le donne immigrate provengono prevalentemente (nell’ordine) da Romania, Albania e Marocco, seguite da Ucraina, Cina, Filippine, Moldova, India, Polonia, Perù, Sri Lanka, Nigeria, Egitto, Ecuador e Bangladesh. Secondo Ismu, a inizio 2020 il gruppo che presentava la più alta percentuale di presenza femminile era quello ucraino (77,3%), seguito dal polacco (74,1%), moldovo (66,1%) e bulgaro (62,6%). Più sbilanciati al maschile sono invece tutti i gruppi nazionali formati da srilankesi, marocchini, indiani, nigeriani, tunisini, egiziani e soprattutto pachistani, bangladesi e senegalesi. Tra questi ultimi tre le incidenze femminili raggiungono solo rispettivamente il 30,4%, il 28,1% e il 25,4%.