Migliaia di manifestanti sudanesi ieri sono riusciti a raggiungere per la prima volta dall’inizio delle proteste anti-governative il quartier generale dell’esercito sudanese. Rispondendo a un appello lanciato venerdì dall’Associazione professionale sudanese (Spa), migliaia di sudanesi si sono ritrovati nelle vie di Khartoum intonando “un esercito, un popolo” alla ricerca della “libertà” e per chiedere le dimissioni del presidente Omar al-Bashir, al potere da 30 anni.
Decine di migliaia di dimostranti sono scesi in piazza nella capitale sudanese e a Omdurman in una delle più grandi manifestazioni che da tre mesi scuotono il Paese africano, come riporta la BBC. La polizia ha lanciato gas lacrimogeni e represso con forza i manifestanti che hanno risposto lanciando delle pietre. Alcune fonti locali parlano di una vittima ad Omdurman.
La Spa, promotrice delle proteste che dal 19 dicembre scorso stanno infiammando il Sudan, aveva indetto per ieri le manifestazioni nella capitale per celebrare il 34° anniversario della rivolta del 6 aprile 1985, che portò al colpo di Stato con cui l’allora ministro della Difesa, Abd al Rahman Sunwar al-Dhahab, destituì il presidente Jafar al-Nimeyri.
Le nuove proteste sono state indette dopo quelle avvenute giovedì sempre nella capitale sudanese. Anche in quel caso la polizia ha fatto ricorso a gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Questi ultimi inizialmente contestavano il carovita e, in particolare, l’aumento dei prezzi del carburante e del pane. Successivamente le proteste hanno assunto un carattere più politico e si sono spinte fino alla richiesta di dimissioni del presidente.
Nei giorni scorsi il presidente Bashir, parlando in occasione dell’inaugurazione della nona sessione del Parlamento, ha promesso di esercitare ogni sforzo possibile per raggiungere la pace nel Paese e ha definito “legittime” le richieste avanzate dai manifestanti che protestano nel paese, condannando tuttavia le violenze che mettono in pericolo l’ordine pubblico.
Il capo dello Stato ha quindi rinnovato l’appello all’opposizione in Sudan e all’estero affinché partecipino al processo di pace. «Rinnoviamo il nostro impegno per un cessate il fuoco permanente e una piena e sincera disponibilità a impegnarsi nel dialogo per raggiungere la pace a qualsiasi prezzo», ha detto Bashir nel suo intervento, trasmesso in diretta dall’emittente televisiva statale Sudan Tv.
A febbraio, sembrava che potesse Bashir stesse per cedere alle proteste e dimettersi, ma ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale per un anno, che poi è stato ridotto a sei mesi dal Parlamento. Per le strade, le forze di sicurezza sono state dispiegate pesantemente e hanno usato le maniere forti sin dall’inizio con diverse segnalazioni di violenze indiscriminate, e arresti a tappeto.
Le autorità sudanesi sono state accusate di aver arrestato attivisti di spicco e medici (molto attivi nelle proteste), cosa che il National Intelligence Security Service ha sempre negato. Secondo i dati ufficiali forniti da Khartoum, fino ad ora 31 persone sono morte per violenze legate alla protesta, ma Human Rights Watch dice che la cifra sarebbe di almeno 51.
Il gruppo Physicians for Human Rights ha affermato di avere prove di uccisioni, persecuzioni e torture di manifestanti pacifici e dei medici che si prendono cura di loro, da parte delle forze governative.