di Stefania Ragusa
In onda su Netflix da poche settimane, è subito diventata un “caso”. La serie sudafricana Savage Beauty racconta, in sei episodi, la storia della nuova testimonial dell’impero cosmetico Bhengu, che si fa ingaggiare perché vuole in realtà vendicarsi. Zinhle Manzini, questo è il suo nome, è infatti l’unica sopravvissuta di un gruppo di bambini di strada su cui l’azienda aveva testato, 15 anni prima, un aggressivo prodotto sbiancante. Sembra bellissima Zinhle, in realtà ha il viso pieno di ferite, nascoste da un trucco sapiente. E il giorno del debutto ufficiale del nuovo volto del brand, mentre Zinhle sfila raccogliendo gli applausi degli invitati, un’immagine col suo viso sbiancato appare sui social network dando vita a una conversazione dai contorni planetari. La Bhengu viene sommersa dalle critiche. È l’inizio di una serie di accadimenti che andranno a colpire gli affari e la famiglia proprietaria dell’azienda.
Prodotta da Harriett Gavshon, Nimrod Geva e JP Potgieter, Savage Beauty è il dramma di una ragazza che usa la bellezza come arma principale per distruggere un impero fondato sulla bellezza. Tocca temi di scottante attualità, come lo sbiancamento e il colorismo, e pone questioni etiche: dove passa il confine tra giustizia e vendetta? Tutto questo, però, in una cornice glamour, che rivela allo spettatore un’Africa ancora incredibilmente inedita. A interpretare il ruolo di Zinhle è una famosa cantante sudafricana, Rosemary Zimu, già protagonista di produzioni importanti. Mettere in scena il lato brutto della bellezza è stata per Zimu una sfida particolarmente intrigante ma anche, come ha spiegato in varie interviste, una sorta di impegno morale. Ci sono questioni su cui non è più lecito soprassedere. Le pressioni sociali cui sono sottoposte le donne africane, per uniformarsi a standard di bellezza lontani dalla loro fisicità, rappresentano oggi un’emergenza, al pari della spregiudicatezza di grandi brand e multinazionali interessati fondamentalmente a battere cassa.