a cura di Cospe
Un progetto agricolo che riverbera anche sull’istruzione primaria e la promozione delle donne, oltre che cercare di rispondere al fabbisogno alimentare – questione particolarmente critica dopo la pandemia e a causa dei conclamati cambiamenti climatici. Una storica ong di origine fiorentina lavora su tutto questo e altri aspetti ancora nel sud dello Zimbabwe
«Guarda la ferrovia, come corre e si mimetizza tra piantagioni e aree secche… Peccato non sia per le persone. Trasporta solo carichi di canna da zucchero», ci spiega Joseph Matiza mentre ci muoviamo da Harare a Masvingo in un contesto rurale affascinante, interrotto a tratti da piccoli conglomerati urbani.
Lo Zimbabwe si è liberato dal passato coloniale solo nel 1980, e da allora ha avuto due soli presidenti succedutisi al potere, con una democrazia formale, esercitata di fatto attraverso forme di gestione oligarchica, in favore di famiglie e gruppi di interesse. Tra questi, appunto, tutto ciò che ruota intorno al grande agribusiness e allo sfruttamento delle risorse naturali. Risorse agricole, ma anche oro, nichel, cobalto, che sarebbero sufficienti a garantire un certo status economico per la popolazione, invece relegata, per buona parte, a vivere su livelli di sussistenza.
Joseph Matiza è un giovane economista, responsabile della ong Cospe, che nella provincia di Masvingo, nel sud dello Zimbabwe, realizza il progetto “Semi per il futuro”: esso ha per obiettivo di migliorare le pratiche agricole in una prospettiva agroecologica, e di rendere i contadini, le comunità rurali e soprattutto le donne, protagonisti delle scelte e delle politiche di sviluppo del proprio territorio.
Acqua, terra, cibo
«La zona rurale di Masvingo si trova nella regione naturale 5, dove le piogge sono irregolari: per questo abbiamo necessità di sostenere gran parte delle nostre coltivazioni con l’irrigazione. La piccola diga che siamo riusciti a costruire lungo il corso del fiume ci sta portando benefici evidenti», ci racconta Philemon Muzite, il responsabile della comunità di Mubagwashe. «Quest’acqua ci permetterà di coltivare tutti insieme il nostro campo comunitario e di prendere, all’interno della comunità, le decisioni sulla gestione dell’attività agricola. Abbiamo inoltre iniziato a commercializzare collettivamente ciò che produciamo e che sopravanza dal consumo domestico. In questo modo stiamo entrando a pieno titolo nelle filiere dei prodotti agricoli, e così aumentano i margini di guadagno per tutta la comunità».
Secondo l’Ipc, il sistema internazionale integrato che misura i dati di sicurezza alimentare, nella provincia di Masvingo il 26% delle famiglie è in fase acuta di insicurezza alimentare ed è solo marginalmente in grado di soddisfare il fabbisogno minimo alimentare, mentre il 25% delle famiglie fa sistematico ricorso all’assistenza alimentare umanitaria, e il 7% presenta casi di malnutrizione molto elevata, fino alla mortalità.
Le ultime relazioni del Rapporteur Onu sul diritto al cibo, come pure i dati presentati nei rapporti ZimVac, di fonte governativa, individuano come problema centrale l’insicurezza alimentare e nutrizionale cronica nel Paese e nell’area di Masvingo, proprio in termini di disponibilità, accesso e uso degli alimenti: ciò porta a povertà, malnutrizione e fame diffusa. Tali condizioni rischiano anche di diventare strutturali, dopo il covid-19 e con gli effetti del fenomeno climatico del Niño: il reddito medio mensile di una famiglia a Masvingo è sceso da 43 dollari nel 2019 a 30 dollari circa.
La scuola per le comunità
Una lotta contro il tempo, quindi, che si combatte anche nella scuola primaria di Musvovi. Fa caldo, e all’ombra di un grande albero di savonnier troviamo gli alunni durante la pausa tra le lezioni. Sotto un ombrellino, per ripararsi dal sole, ci parla l’insegnante Ordella Randinyu: «Quello che riusciamo a fare in questa scuola è molto importante per l’intera comunità. Abbiamo attivato un processo integrato, con un orto scolastico irrigato e un allevamento di polli. È un sistema circolare, in cui i prodotti di ambedue le attività si integrano e si alimentano: l’orto produce cibo per la mensa scolastica e per il pollaio; le uova delle galline sono usate per la mensa, ma sono anche vendute per affrontare alcune spese correnti della scuola; il letame prodotto nel pollaio è usato come compost per la coltivazione dell’orto. Con il processo a regime, tutti gli alunni della scuola hanno l’opportunità di accedere almeno a un pasto giornaliero. Questo non solo combatte la malnutrizione, ma invoglia anche le famiglie a far frequentare la scuola ai bambini, perché riduce la spesa giornaliera delle famiglie, che vivono con livelli di povertà importanti».
In questa maniera la scuola è percepita con maggiore interesse, diventa parte integrante della crescita dei minori ed è considerata un’agenzia alleata delle famiglie, con il grande risultato del miglioramento del livello di istruzione della popolazione minorile. Oggi, nella provincia di Masvingo, la maggior parte dei ragazzi con bassi livelli di istruzione emigra in altre aree dello Zimbabwe o nei Paesi vicini, come manovalanza a basso costo presso le aree dell’industria estrattiva o le grandi aziende dell’agricoltura industrializzata. «E non dimentichiamo che le attività negli orti scolastici sono abbinate a percorsi formativi sull’ambiente e l’alimentazione; quindi i nostri studenti e le loro famiglie apprezzano sempre di più i valori dell’ambiente e della salute», ci dice Njainjai Livison, dirigente della scuola primaria di Mupinga.
Le donne e il loro ruolo
Nonostante la Costituzione del 2013 abbia affermato gli stessi diritti per uomini e donne, indicando meccanismi per promuovere l’equità di genere, di fatto le diseguaglianze e la violenza contro le donne continuano ad essere diffuse, e la legge tradizionale patriarcale si scontra contro il diritto. Nella provincia di Masvingo risultano capofamiglia il 32,69% delle donne, di solito agricoltrici individuali, con scarso livello di istruzione e bassi livelli di reddito. «Oltre ad occupare gran parte del suo tempo nell’economia di cura della casa e della famiglia, la donna dedica tempo ed energie alle attività agricole: tutti lavori che non vedono una valorizzazione economica», ci dice Thandiwe Chidavarume, coordinatrice nazionale di Women and Land Zimbabwe, la più importante organizzazione di contadine del Paese, con relazioni e collaborazioni in molti altri Paesi africani.
Sono tante le donne, con i loro bambini, che ci attendono al grande campo comunitario di Humelelo, perché «l’ospitalità è molto importante», ci racconta Rapelang Noko, responsabile dell’associazione Ctdo, che in Zimbabwe gestisce diverse banche delle sementi. «In questa comunità, composta da 800 famiglie, il campo comunitario ha portato vantaggi immediati. Prima le famiglie facevano un solo pasto al giorno; ora, grazie ai prodotti del campo, buona parte delle famiglie sono passate a due pasti. Riusciamo anche a fare la colazione ai nostri figli prima di mandarli a scuola».
Per la coltivazione dei campi, le banche delle sementi, luoghi per la conservazione e l’uso delle varietà agricole locali, sono importanti. Rapelang ne va orgogliosa: «Ci conserviamo miglio, sorgo, piselli, arachidi e altre sementi, fino a 44 varietà di colture. Promuoviamo l’accesso alle sementi e lo scambio delle conoscenze tra i contadini, a vantaggio della biodiversità. Così miglioriamo naturalmente la resilienza delle varietà tradizionali al cambiamento climatico: come vedete, non piove più e la temperatura raggiunge i 45 °C». «Ma la cosa più importante», prosegue, «è che stiamo riscrivendo gli equilibri a livello familiare. Da quando hanno l’opportunità di lavorare nel campo, tutte le donne vivono una vita familiare più tranquilla, con meno litigi e discussioni sulla gestione delle risorse economiche».
Minority Mubaji, trent’anni e due figli, è la vicepresidente del comitato di donne che gestisce il campo comunitario di Chiraranye. Qui è una moltitudine di donne ad accoglierci, «fiere della loro posizione sociale: il loro protagonismo le mette nelle condizioni di accogliere gli ospiti della comunità». Riprende: «Grazie al percorso che abbiamo attivato negli ultimi anni, noi donne abbiamo assunto una posizione di leadership all’interno della comunità, e cresciamo sempre più in fiducia. Non solo gestiamo il campo comunitario, risorsa economica importante per l’intera comunità, ma abbiamo anche avviato un percorso di rafforzamento e protagonismo. Adesso siamo unite, alziamo la nostra voce e lavoriamo insieme per ottenere ciò di cui abbiamo bisogno». Poi ci mostra passare un’auto con soli uomini, e ci dice: «La prossima volta che tornate, spero che vedrete arrivare le donne stipate nelle proprie auto».
Un futuro da costruire
Lo Zimbabwe è in piena tempesta economica e sociale, tra strutture di potere oligarchiche e una profonda crisi, con il più alto tasso di inflazione al mondo nel 2019 (pari al 300%), oggi attestatosi al 47,60%. Ma noi abbiamo potuto vedere tanta energia, soprattutto tante persone giovani, e donne. Tante iniziative, che devono trovare la forza di andare avanti, di fungere da buoni esempi da duplicare, da moltiplicare. Una volta terminato il progetto, le attività intraprese dovranno rimanere sostenibili: per la manutenzione dei campi, delle piccole dighe e dei pozzi, per gli allevamenti, gli investimenti sulle banche dei semi, per alimentare gli importanti processi comunitari che spingono tanti uomini, e soprattutto tante donne, a prendere in mano il proprio futuro.
Del resto, «è il ruolo della scuola e della nostra stessa comunità: piantare semi per il futuro… proprio come il nome del progetto!!», ci ha salutato sorridendo il professor Njainjai quando lasciavamo la scuola di Mupinga.
Il progetto
“Semi per il futuro”è un progetto finanziato da AICS-Ministero degli Affari Esteri ed è coordinato da Cosper in collaborazione con Terres des Hommes Italia, Rete Semi Rurali e le associazioni zimbabwane Sat, Women in Land e Ctdo. È attivo in tre distretti (Chiredzi, Mwenezi e Masvingo), dove promuove l’adozione di modelli di agricoltura sostenibile da parte di piccoli agricoltori, uomini e donne. Tali modelli intendono permettere la costruzione di sistemi alimentari locali e differenziati, equi e ambientalmente sostenibili, che, aumentando i fattori di resilienza delle comunità, impediscano all’emergenza sanitaria causata dal covid-19 e al cambiamento climatico di peggiorare i livelli di insicurezza alimentare e di aumentare i fenomeni di fame e povertà diffusa.
(contenuto redazionale di Coopera in Africa)
Foto apertura: Gianni Toma