Io, Donna, Immigrata. Torna la pièce di Valentina Mmaka

di Stefania Ragusa

Un monologo a tre voci può sembrare un ossimoro. Ma è probabilmente la formula più adatta a definire  Io… Donna… Immigrata (Emi), un testo pubblicato nel 2004 dalla scrittrice di origine sudafricana Valentina Acava Mmaka e composto già pensando al teatro. Un testo che illumina la complessità emotiva di chi affronta l’esperienza della migrazione e cammina nella vita  in bilico tra due mondi, sentendosi sempre “in prestito”.
A raccontare, nello stessa unità di tempo ma ciascuna per sè (ecco il monologo), sono Drasla, Alina e Farida. Hanno paesi e storie diverse alle spalle e, soprattutto, ciascuna di loro rappresenta una dimensione esistenziale differente.

A quasi 15 anni di distanza, la pièce rimane attuale più che mai. Per questo la Compagnia Teatrale I suggeritori di Capriolo (BS) ha deciso di portarla in scena il prossimo 7 dcembre (all’Auditorium BCC, ore 20.30). Una sola serata, a offerta libera, che permetterà di realizzare un video con cui promuovere ulteriormente il progetto presso organizzazioni ed enti locali. «Lo spettacolo nasce con l’intento di confrontarsi con l’alterità, di mettersi in relazione con il diverso, relativizzando il pensiero assolutista», spiega la regista, Nevia Marten. «Una premessa necessaria alla creazione di una società interculturale basata sullo scambio e sul dialogo. Un messaggio importante, in un territorio complesso come il nostro».

Se a Milano, Torino e in altre grandi città infatti  è relativamente facile trovare e scegliere il teatro impegnato, in questo piccolo angolo del bresciano le possibilità sono minori, prosegue Nevia. Eppure è qui che c’è più che mai bisogno di riflettere e interrogarsi su certe dinamiche di chiusura e esclusione. «Da tempo avevo il desiderio di misurarmi su questo testo di Valentina Mmaka, che l’autrice tra l’altro ha messo a disposizione nostra con grande generosità e senza chiedere nulla in cambio. Finalmente il progetto si è concretizzato».

Farida davanti alla sua macchina per scrivere

Farida davanti alla sua macchina per scrivere

Sul palco le tre donne sono posizionate ciascuna davanti a una macchina per scrivere, in un’atmosfera vintage che vuole attenuare la drammatica serietà dell’intera narrazione. Marten le pone in una cornice di semi-leggerezza, per smussare il pathos delle loro domande. Le tre donne si interrogano infatti sulla loro identità, sul perché e il come mantenerla in un paese straniero, una «terra di lusso dove tutti sono amici fino a quando non sentono l’accento zoppo nella mia voce e allora mi guardano con sospetto». Queste sono parole di Drasla che ha lasciato l’Albania per  fare la parrucchiera e invece è finita sulla strada. Drasla rappresenta il «volere» e lo scarto che può prodursi tra progetto e realtà. Voleva un futuro migliore. Si è trovata in un incubo.
Alina, invece, viene dal Sudamerica e fa la badante a una vecchia signora. Sua è la dimensione del «dire». Poche, pochissime parole, sempre le stesse, come in una di cantilena: «Signora grazie, sì signora, signora prego».
Farida, infine, in questo monologo a tre voci, incarna la forza dello «scrivere». È lei che più indaga il suo essere donna, la sua identità… ed è lei che a un certo punto indica la strada: «Scrivo per ricordare da dove vengo. Scrivo per non dimenticare cosa voglio». Parole che avremmo potuto ascoltare dalla stessa Valentina Mmaka, anche lei donna, immigrata e grande attraversatrice di mondi: dal Sudafrica all’Italia, alla Spagna, al Kenya. Negli ultimi anni si è molto spesa nella lotta per contrastare le mutilazioni genitali. The cut – Lo strappo è il suo ultimo testo/spettacolo. E noi ci auguriamo che ci sia presto l’occasione di parlare anche di questo intenso e formidabile progetto.

(Stefania Ragusa)

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