«Se non li regolarizzano per motivi economici, almeno lo facciano per tutelare la propria salute». È la provocazione di Isilda Armando, presidente dell’Anolf Lecco, l’associazione di immigrati legata alla Cisl. Lei, angolana di origine, da anni lavora nel territorio a fianco dei lavoratori e delle lavoratrici stranieri. Conosce bene il dramma che vivono queste persone, soprattutto gli irregolari, e può intervenire con cognizione di causa nel dibattito sulla regolarizzazione in corso in questi giorni.
«Chi non ha un permesso di soggiorno regolare – spiega – sfugge a qualsiasi controllo. Difficile verificare il suo stato di salute. Questa situazione è già pericolosa in tempi normali, lo è ancora di più in un periodo, come questo, in cui stiamo vivendo un’epidemia che ha colpito duramente la nostra società e la nostra economia».
Regolarizzarli, a suo parere, è quindi un modo per garantire non solo la loro salute, ma anche quella degli italiani. «Fare “venire alla luce” queste persone – continua – permette di offrire loro un’assistenza medica che, altrimenti, non avrebbero. Per le strutture sanitarie significherebbe avere un quadro esatto della diffusione dell’epidemia. Se costringiamo questi immigrati a vivere nell’illegalità non sapremo mai veramente ciò che circola intorno a noi. Per questo dico alle autorità: le regolarizzazioni vanno fatte, se non per umanità, perlomeno per ragioni egoistiche, cioè per tutelare anzitutto noi stessi»
Con le sue parole, Isilde vuole sfidare l’indifferenza (o la malafede) di molti, troppi, politici che giocano sulla pelle degli immigrati per racimolare facili consensi. Ma va oltre. «Qui non stiamo parlando di oggetti – commenta amara -, ma di persone in carne e ossa che hanno diritti come chiunque. In primo luogo il diritto alla salute. Far vivere nascosti gruppi, anche numerosi, di persone in locali angusti e malsani significa attentare alle loro vite, esponendoli a incredibili rischi di contagio».
Isilde parla anche come sindacalista. Come una donna che vive a contatto con i lavoratori e le lavoratrici del suo territorio e, spesso, ne raccoglie le confidenze. «So che molti, troppi, lavorano in nero. Non hanno alcuna tutela né garanzia occupazionale – osserva -. Sono venuta a sapere di immigrati che lavoravano in modo irregolare, morto il loro datore di lavoro, sono rimasti senza occupazione né ammortizzatori sociali. Perché? Perché si permette questo? Regolarizzarli servirebbe a offrire loro maggiori tutele e a evitare che finiscano nelle maglie dello sfruttamento». Uno sfruttamento che si basa sul ricatto. Uno sfruttamento del quale sono «maestre» le organizzazioni criminali. «Ho saputo di immigrati che, perdendo il lavoro, hanno perso anche il permesso di soggiorno – conclude Isilde -. Sapete che cosa hanno fatto per sopravvivere? Sono andati dal Nord al Sud a raccogliere pomodori affidandosi ai “caporali” e finendo così nelle maglie della criminalità. Ma, senza andare lontano, possiamo parlare anche delle centinaia di badanti che assistono giorno e notte gli anziani o i disabili molto spesso, troppo spesso, senza alcun contratto né diritto. Ciò è degno di un Paese civile?».
(Enrico Casale)