Angelo Del Boca, massimo studioso del colonialismo italiano in Africa, si è spento nella serata di ieri a Torino. Coi suoi libri, con le sue ricerche coraggiose, fu il primo a svelare i crimini del fascismo nelle colonie: i campi di concentramento, l’uso dei gas, le stragi dei civili. «La nostra storia in Africa è costellata di errori imperdonabili», ci raccontò in questa intervista che riproponiamo in segno di omaggio al grande storico.
di Marco Trovato
Ci ha lasciati Angelo Del Boca, il più grande storico del colonialismo italiano in Africa. Lo studioso si è spento ieri sera nella sua casa di Torino. Aveva 96 anni, fu il primo storico a denunciare l’uso di gas in Africa Orientale da parte dell’esercito italiano. Fra le sue numerose pubblicazioni, i quattro volumi de ‘Gli italiani in Africa Orientale’, i due de ‘Gli Italiani in Libia’ e le biografie di ‘Hailé Selassié, e ‘Gheddafi. Una sfida dal deserto‘. Il funerale si svolgerà giovedì 8 luglio alle 10:30 nella parrocchia del Nazzareno a Torino. Qui riproponiamo l’intervista che ci concesse nel novembre 2015.
Ha da poco festeggiato novant’anni di età, ma non sembra preoccuparsene. «Ogni giorno di vita è un regalo che assaporo fino in fondo», dice con lo sguardo che brilla come un diamante. Lo scrittore e storico Angelo Del Boca ci accoglie nel suo appartamento al settimo piano di un palazzo nel cuore di Torino. Le pareti all’ingresso sono tappezzate di quadri votivi. «Colleziono ex voto cristiani», chiarisce Del Boca illustrandoci i dipinti. «Ne ho centinaia, di ogni parte del mondo, e ognuno ha una storia da raccontare». La storia: la grande passione di Del Boca… Quella dei grandi leader e quella della gente comune.
Del Boca l’ha raccontata in decine di libri (l’ultimo, “Nella notte ci guidano le stelle”, pubblicato da Mondadori, narra la sua storia partigiana). La scrivania del suo studio è assediata da volumi, manoscritti, taccuini, pigne di fogli ingialliti: l’archivio personale del più autorevole storico del colonialismo italiano. Ha viaggiato in 38 pesi dell’Africa e conosciuto da vicino i suoi più importanti esponenti politici del secolo scorso: l’imperatore etiopico Hailé Selassié, il padre spirituale del Ghana Kwame Nkrumah, il presidente e poeta senegalese Léopold Sédar Senghor. E il rais di Tripoli Muammar Gheddafi. «Con il leader libico avevo tessuto un rapporto di fiducia» – ricorda lo studioso – «Sotto la sua tenda nel deserto ho raccolto importanti confidenze, prima che venisse barbaramente ucciso il 20 ottobre 2011».
L’Occidente ha contribuito a rovesciare il regime di Gheddafi, ma oggi in tanti rimpiangono la sua scomparsa: la Libia è diventata una terra senza confini né legge in cui dilaga il tribalismo e la minaccia jihadista.
Gheddafi era uno straordinario statista: l’unico capace di tenere assieme la Libia, gestire i flussi migratori, contenere i fondamentalismi, dare forma all’unione degli stati africani. Certo è stato anche un politico controverso, un dittatore, ma l’abbattimento del suo regime è stato un errore gravissimo. La sua caduta cruenta – voluta dalla Francia di Sarkozy e appoggiata anche dall’Italia – ha creato un pauroso vuoto di potere di cui già paghiamo le conseguenze.
L’accordo di pace annunciato dall’Onu dovrebbe arrestare le violenze delle milizie e riportare stabilità in Libia. Renzi ha dichiarato che l’Italia è pronta ad assumere un ruolo guida nella missione di pace…
L’accordo non terrà. Mi spiace fare il profeta di sventure, ma la Libia è destinata a diventare una nuova Somalia: un territorio ingovernabile, in preda all’anarchia, in cui fioriscono commerci criminali, dal traffico di armi a quello di uomini.
L’Europa si difende dall’emergenza migranti: alza nuovi muri, aumenta i controlli alle frontiere. Che impressione le fa?
La reazione dei nostri politici è un insulto ai valori fondanti dell’Unione Europea. Milioni di persone scappano da guerre, regimi illiberali, instabilità e sottosviluppo; abbiamo il dovere morale e la possibilità di accoglierli. Non dimentichiamoci inoltre che nei confronti di molti paesi da cui provengono i migranti abbiamo anche un debito storico enorme.
L’Italia ha molto da farsi perdonare. Lei è stato lo studioso che per primo ha svelato i misfatti del colonialismo italiano, demolendo l’idea edulcorata degli “italiani brava gente”…
Per lungo tempo in Italia si è veicolata l’immagine di un colonialismo dal volto umano, quasi un modello di virtù. Nulla di più falso. Certo, in Africa abbiamo costruito strade e ponti, ma ha abbiamo compiuto crimini terribili. Penso alle migliaia di persone inermi uccise nei campi di concentramento in Libia, all’utilizzo reiterato del gas contro la popolazione civile in Etiopia, al brutale sistema di segregazione razziale che considerava gli africani alla stregua degli animali.
Qual è stato il crimine peggiore commesso dal fascismo italiano in Africa?
Il massacro di Debre Libanos, in Etiopia, avvenuto nel maggio del 1937. Circa 1300 monaci furono trucidati dalle mitragliatrici del generale Pietro Maletti. Fu una ritorsione per il fallito attentato al viceré dell’Africa Orientale Italiana, Rodolfo Graziani. Un eccidio spietato, imperdonabile.
C’è chi sostiene che gli italiani contribuirono a sviluppare i territori delle colonie, promuovendo l’istruzione e la formazione…
Nulla di più salso. Uno dei peggiori errori del colonialismo italiano è stato quello di proibire ogni forma di istruzione. Il limite massimo era la quinta elementare, sufficiente per ricevere ordini ed eseguirli. A differenza di ciò che accadeva nelle colonie inglesi e francesi, dove si garantiva la formazione di una classe dirigente.
I suoi libri hanno svelato atrocità occulte e raccontato verità storiche imbarazzanti per l’Italia. Non hanno mai cercato di fermarla?
Ho subito attacchi violenti, intimidazioni pesanti, inviti pubblici al boicottaggio dei miei libri. Un giornale di destra ha divulgato il mio indirizzo di casa, esortando i suoi lettori a darmi una lezione. Ho temuto per la mia incolumità.
Ostruzionismo da parte dei governanti?
Ho avuto accesso agli archivi storici militari grazie alla personale amicizia di un funzionario con cui avevo condiviso la lotta partigiana. Una sola volta, Andreotti cercò di fermare il mio lavoro di ricerca. Ma riuscii comunque a portare alla luce ciò che per lungo tempo era rimasto segreto tra le carte.
Lei ha viaggiato e vissuto a lungo in Africa. Come vede il futuro del continente?
Nel 2050, gli africani saranno due miliardi e mezzo: due volte e mezzo la popolazione attuale. Nessun altro continente avrà una simile esplosione demografica. Le nuove generazioni, potendo contare su migliori condizioni di vita e maggiore opportunità di formazione, saranno un carburante formidabile per lo sviluppo dell’Africa.