Di Elena Scalabrin – Centro studi AMIStaDeS
Il 27 aprile scorso Jessica Watkins ha iniziato la sua missione di lungo termine nella Stazione spaziale internazionale. Si tratta della prima afroamericana nella storia a ricevere questo incarico. Scopriamo insieme quali sono stati i passaggi storici che hanno portato a questo giorno memorabile.
Notizia fresca di compimento e motivo di orgoglio per la diaspora africana negli USA. Jessica Watkins sarà la prima afrodiscendente a partecipare ad una missione di lungo periodo per la Nasa, a bordo di una navicella Space X. La sua missione è iniziata il 27 aprile e durerà cinque mesi e mezzo. con il compito di effettuare ricerche e sperimentazioni in vari campi che miglioreranno il nostro uso delle risorse terrestri e sviluppare tecnologie. Presto, Watkins sarà anche la prima afrodiscendente a fare una passeggiata nello spazio.
Afroamericani nella storia dello spazio
Non si tratta della prima afrodiscendente a volare nello spazio, ma entra nella storia per la durata dell’incarico affidatole. Il primo afrodiscendente in assoluto ad oltrepassare l’atmosfera terrestre è stato Guion Stewart Bluford nel 1983; mentre la prima donna di origini nere è stata Mae Jemison, nel 1992. Nessuna,però, aveva ancora ricevuto un incarico a lungo termine nella Stazione spaziale internazionale (Iss). Un altro dato dimostra l’importanza dell’incarico a Watkins: nei 20 anni di vita dell’Iss, solo 7 su 249 astronauti statunitensi sono stati di origini africane. L’accelerazione è avvenuta di recente, grazie all’Iss: Stephanie Wilson è stata inviata in orbita per tre missioni nel 2006, B. Alvin Drew per due nel 2007, Leland Melvin ha ricevuto due incarichi nel 2008 e Victor Glover ha battuto il record di giorni nello spazio tra il 2020 e il 2021 (167 giorni).
Secondo quanto pubblicato sul sito della Nasa per onorare il mese della storia nera di quest’anno, in data 2 febbraio, si contano 17 astronauti afrodiscendenti che hanno volato per l’agenzia. Con Watkins sono 18, meno di uno all’anno e con salti dal 1998 al 2006 e dal 2009 al 2020. L’unica eccezione è il 2006, quando si contano due astronaute. Questo dato può far discutere, anche alla luce degli insostituibili contributi apportati dagli scienziati afrodiscendenti che hanno lavorato per la NASA a tutti i livelli (nella sitografia sono comprese almeno due pagine con brevi biografie di afrodiscendenti che hanno lasciato l’impronta nella NASA). Ricordiamo anche i traguardi di rara portata anche prima della fondazione dell’agenzia. Per esempio, Benjamin Benneker nel XIIX secolo predisse un’eclissi di sole e costruì un orologio che segnò l’ora esatta per 40 anni fino a quando fu distrutto in un incendio.
L’aspetto positivo della storia è che tutto si trasforma e, in questo caso, procede verso il miglioramento. Benché l’inclusività non fosse una caratteristica fondante dell’agenzia spaziale statunitense, nel corso del tempo la composizione del suo organico è andata cambiando. Nei primi anni era formata quasi totalmente da uomini bianchi (si contavano circa sette impiegati neri nel Kennedy space center durante la missione Apollo), ma, grazie anche alla spinta dell’ex direttore Charles Bolden e alla lotta per i movimenti civili degli anni 60, nel 1971 fu creato un ufficio dedicato alle pari opportunità, per garantire una maggiore possibilità ai gruppi marginalizzati.
Dagli anni Sessanta
La segregazione raziale degli anni Sessanta è conosciuta ai più per le figure di Martin Luther King Jr, Rosa Parks, Malcolm X, le Pantere nere e i vari protagonisti che si sono battuti per la parità tra bianchi e neri nelle strade. Pochi sanno delle pratiche segreganti usate nei luoghi di lavoro. A partire dall’impiegare lavoratori afrodiscendenti principalmente per lavori di bassa lega, usanza facile da ipotizzare e riconoscere, all’uso di bagni separati per gli impiegati neri, anche alla Nasa dove non solo il tempo è denaro ma l’intera missione dipende dalla collaborazione ed efficienza di tutti e fallire significa perdere miliardi di dollari. Il film Il diritto di contare racconta bene questo e altri fattori discriminanti all’interno della vicenda di Katherine Johnson, matematica fondamentale per il lancio e il successo della missione Apollo e che riuscì per la prima volta a ottenere calcoli esatti da un computer riguardo all’orbita da seguire.
Dal 1971 la Nasa dispone di un ufficio pari opportunità e nel 1978 selezionò sei donne per un volo shuttle, e il gruppo più diversificato fino ad allora, che comprendeva tre uomini afrodiscendenti: Guion Stewart Bluford, Ronald Erwin McNair e Federick Drew Gregory. Un buon inizio, considerando che all’epoca della formazione dell’ufficio, il personale nero alla Nasa era del 5%, il dato più basso di tutte le agenzie federali. Nel 2008 la percentuale di lavoratori appartenenti a minoranze è salita al 20% della forza lavoro dell’agenzia. Per raggiungere questa percentuale, oltre a ingaggiare personale da gruppi marginalizzati, la Nasa ha aiutato a creare centri di ricerca in università e college storicamente neri. Del resto, anche ex lavoratori afrodiscendenti una volta usciti dall’agenzia spaziale hanno intrapreso azioni concrete per favorire l’interesse della propria comunità verso lo spazio.
Si ricorda che in occasione del lancio dello shuttle che portò Neil Armostrong e compagni sulla luna, a New York almeno 50 mila persone, principalmente afrodiscendenti, scesero in piazza a dimostrare il loro dissenso per i fondi stanziati per la missione spaziale, che avrebbero potuto essere indirizzati alla riduzione della povertà, che colpiva in gran parte la loro categoria. In secondo luogo, si può ipotizzare che la società allontanasse gli afrodiscendenti da pretese di istruzione in materie adatte a ruoli manageriali o comunque di livello medio o alto. In ultimo, oggi conosciamo l’importanza della rappresentazione (nei media, ma anche a livello narrativo, o banalmente di pettegolezzi) sull’opinione che un singolo e un gruppo forma di sé.
Il presente
Certo, con gli anni la Nasa è diventata più inclusiva, ma il numero di astronauti neri inviati nello spazio resta uno all’anno, e non tutti gli anni è presente. Le donne nere che hanno volato per l’agenzia ad oggi sono cinque, compresa Watkins. Si può apprezzare lo sforzo di aumentare le quote di assunzione, ma la strada è ancora lunga.
La segregazione raziale non esiste più dal punto di vista legale, ma la società statunitense rimane fortemente influenzata dalla propria storia e gli afrodiscendenti sopportano tutt’ora gli strascichi del passato, anche quando si tratta di scegliere quale lavoro è adatto a loro o si presentano ad un colloquio.
Per queste e altre ragioni, la storia di Jessica Watkins merita di diventare popolare, in virtù dei sacrifici e del duro lavoro che sicuramente ha affrontato e perché possa essere da esempio per molte altre donne e categorie marginalizzate, nell’astronautica e non solo.
Sitografia
https://www.harpersbazaar.com/it/cultura/a38410623/jessica-watkins-astronauta-chi-e/
https://www.elle.com/it/magazine/women-in-society/a39858262/jessica-watkins-astronauta/
https://www.nasa.gov/feature/honoring-african-americans-in-space
https://www.thoughtco.com/african-americans-in-astronomy-and-space-3072355
https://www.smithsonianmag.com/history/nasa-landing-moon-many-african-americans-sought-economic-justice-instead-180972622/
https://www.science.org/content/article/how-african-americans-nasa-helped-remake-segregated-south
https://www.flyingmag.com/nasas-african-american-history-from-hidden-figures-to-artemis/