Karalò è una parola mandinga che significa “sarto”, ed è la parola chiave di questo progetto, nato dall’incontro tra profughi giunti a Roma da diverse nazioni africane, ospiti di un centro gestito dalla cooperativa Eta Beta.
Il progetto è partito da meno di due anni, l’idea è nata grazie al corso di cucito frequentato da uno dei richiedenti asilo. L’obiettivo dei ragazzi non è solo quello di cercare una prospettiva professionale, ma anche quello di uscire dall’anonimato, e di «riprendere in mano il filo del proprio destino».
Coordinati e seguiti da volontarie della cooperativa, i giovani sarti partono da tessuti con stampe tipiche africane per realizzare borse, abiti, fasce per capelli, zaini, camice.
La pagina Facebook di Karalò è continuamente aggiornata, con le foto dei nuovi prodotti e con le informazioni sui mercatini, per ora solo a Roma e dintorni, in cui trovare il banchetto dei sarti africani.
(Sara Milanese)