La frase di Hubert Beuve-Méry, in apertura del volume, ci mette subito sulla buona strada. Il fondatore di Le Monde esorta a non confondere mai i mezzi per vivere con le ragioni per cui si vive. Una confusione che attraversa molte storie, non solo di migrazione, e che Karounga Camara ha realizzato molto presto essere nefasta.
Karounga è un ex migrante senegalese. In patria faceva l’insegnante di matematica. Poi, nel 2010, con uno degli ultimi decreto flussi, ha raggiunto il fratello in Italia e qui ha vissuto per sette anni. Aveva un lavoro stabile e stava pensando di farsi raggiungere dalla moglie e i figli. Poi sono successe due cose che gli hanno fatto cambiare idea. Una è stata la morte di sua madre, che lo ha sorpreso lontanissimo e impossibilitato a partire per darle almeno l’ultimo saluto. L’altra è stata una conoscenza occasionale. Sul metrò, una sera, ha incontrato un signore che aveva a lungo viaggiato in Africa e ne conosceva le potenzialità e le bellezze. Nel corso della breve conversazione che ne seguì, quell’uomo disse una cosa che lo colpì moltissimo: voi siete qui, mentre l’Africa si trasforma, e quando tornerete rischierete di scoprirvi migranti nel vostro stesso Paese.
Così Karounga ha iniziato a pensare e a preparare il ritorno. Ha impiegato tre anni a delineare e mettere in pratica questo percorso, ma alla fine ce l’ha fatta. Oggi ha un’attività imprenditoriale che gli consente di vivere e dare lavoro ad altri. E’ direttore generale di Senita Food, una società che importa e distribuisce semilavorati per la panificazione e la pasticceria e che adesso fornisce anche altri servizi sempre nel settore Ho.Re.Ca (Hôtel, Restauration, Cafeteria). Nel volume L’emigrazione degli africani .Osare il ritorno, uscito lo scorso anno per la casa editrice Celid e che ho avuto l’onore e il piacere di presentare in autunno a Milano, non racconta però la sua storia. Di autobiografico c’è solo lo spunto. Per il resto si tratta di un manuale pratico, che contiene suggerimenti e indicazioni concrete su come procedere per preparare il ritorno. E che ha un grande pregio, soprattutto in questo momento storico: sposta l’accento nel dibattito sulla migrazione. Ci porta fuori dai battibecchi, dalle mistificazioni e dalle affermazioni di principio per introdurci a una questione circoscritta e concreta: come e perché si può (non si deve) tornare a casa.
«Ci sono diversi piani su cui lavorare», spiega Karounga. «Quello psicologico, innanzitutto. L’idea di ritorno continua a essere associata al fallimento. E’ un tabù resistente, che ha anche un presupposto economico: le rimesse degli immigrati portano in Senegal un miliardo e mezzo di euro l’anno in media. E’ una somma consistente che solleva lo stato da tante incombenze». Ma non si tratta solo di questo. «Si deve aver chiaro che in un paese come il Senegal un progetto imprenditoriale non può essere individuale. Per riuscire non si può osare da soli. Bisogna essere in gruppo. E questo è complicato, perché la solidarietà che spesso caratterizza le relazioni tra espatriati, a casa è più difficile da costruire». Richiede un cambio di mentalità, che non significa imitare pedissequamente modelli di comportamento e organizzazione estranei ed esterni, ma reinventare creativamente i propri. A partire proprio dalla maggiore importanza che in Senegal si attribuisce alla comunità rispetto al singolo.
Poi c’è il piano pratico: la necessità di muoversi a piccoli passi, con un’idea chiara e possibilmente un business plan; l’importanza di sapere dove andare a cercare le informazioni. La rete Ndaari che Karounga ha contribuito a fondare, serve anche a questo scopo: dare una guida pratica e utile ai senegalesi che decidano di tornare in patria e investire in un progetto. «Investire in Senegal è difficile, ma al tempo stesso facile», prosegue. «Perché la maggior parte dei settori è ancora vergine. E’ importante però essere informati sulle leggi, le opportunità, le procedure da seguire per ottenere il credito…».
Ne L’emigrazione degli africani .Osare il ritorno questi aspetti sono affrontati con chiarezza esemplicità. Il libro è stato pubblicato anche in francese e presentato in Senegal, ricevendo una buona accoglienza. Adesso Karounga sta pensando a una versione in wolof , magari scaricabile in podcast, in modo da rendere questi contenuti fruibili per un numero sempre più esteso di persone. La domanda è forte, nella sola regione di Thies (che non ha tassi migratori particolarmente altri) negli ultimi nove mesi i rimpatri sono stati 35, mentre le richieste di informazione oltre 500, e nel 75 per cento dei casi arrivavano dall’Italia. Ed è possibile che a occuparsi di questa nuova edizione “locale” sia una casa editrice senegalese. Perché da quelle parti anche l’industria culturale è in fermento.
(Stefania Ragusa)