a cura della redazione
Una preoccupante ondata di rapimenti di attivisti critici del governo sta interessando il Kenya negli ultimi mesi, ultimo caso quello della nota attivista tanzaniana Maria Sarungi Tsehai, poi rilasciata. Dalle proteste della scorsa estate esplose in tutto il Paese contro la legge di bilancio, poi ritirata, la Commissione nazionale keniota per i diritti umani ha registrato 82 casi di rapimenti.
La notissima attivista tanzaniana Maria Sarungi Tsehai (che ha 1,3 milioni di follower su X) sarebbe stata rapita da un gruppo di uomini armati in Kenya per essere poi rilasciata poche ore dopo. Lo ha denunciato lei stessa ai suoi follower con un video diffuso ieri su X: “Sono stata salvata”.
Secondo la ricostruzione di Roland Ebole, portavoce di Amnesty international Kenya, ieri pomeriggio Tsehai si trovava a Nairobi, capitale del Kenya, e sarebbe stata fermata da uomini in borghese e “costretta” a salire su un veicolo civile privo di contrassegni. Tuttavia, Tsehai è stata rilasciata poche ore dopo. Le dinamiche di questi fatti sono ancora tutte da chiarire e sono pochi i dettagli diffusi fino ad ora: secondo la presidente della Law Society of Kenya, Faith Odhiambo, gli attivisti sono riusciti grazie a un intervento tempestivo dell’organizzazione a ottenere il suo rilascio: “Non permetteremo che il nostro Paese venga usato come rifugio per rapire individui” ha detto in una conferenza stampa ieri sera a Nairobi. Né i funzionari kenioti né quelli tanzaniani hanno rilasciato dichiarazioni.
La crisi economica e politica del Kenya, esplosa la scorsa estate con le proteste in tutto il Paese contro la legge di bilancio, poi ritirata, si sta sempre più velocemente trasformando in una crisi istituzionale, con pezzi dello Stato messi gli uni contro gli altri in un vero e proprio scontro ai massimi livelli: le accuse di rapimento alla polizia, arresti illegali operati da squadroni di agenti in borghese che detengono poi per giorni noti attivisti per i diritti umani e civili, sono oggi il terreno principale di questo scontro tra istituzioni, con la Polizia che sembra rifiutarsi di dare il proprio contributo per fare chiarezza su questi arresti illegali. La scorsa settimana l’Alta corte del Kenya ha chiesto all’ispettore generale della polizia, Douglas Kanja, di spiegare la recente ondata di rapimenti di attivisti critici del governo: “Se l’ispettore generale della polizia non si presenta, chiederò una condanna” per oltraggio alla Corte, ha detto in Aula il giudice Bahati Mwamuye davanti a un’Aula gremita. Kanja dovrà presentarsi in tribunale il prossimo 27 gennaio.
Presso l’Alta Corte di Nairobi si sta svolgendo un procedimento avviato dopo la scomparsa di sei attivisti durante le vacanze di Natale: cinque di loro sono ricomparsi soltanto dopo l’Epifania e non è chiaro chi sia stato l’autore di questi arresti, dove questi ragazzi siano stati detenuti e perché. L’attivista Steve Mbisi, al contrario, è ancora introvabile. Bernard Kavuli è uno degli attivisti tornati in libertà e due giorni dopo era in aula a testimoniare: volto tirato e aria strazzonata, ha rilasciato alcune dichiarazioni alla stampa in compagnia del suo avvocato dicendo che i suoi rapitori, che lo hanno preso senza un mandato, erano armati e che lui è rimasto ammanettato tutto il tempo: “Quante persone possono essere in possesso di manette per legge? Secondo me, solo la polizia può ammanettarti” ha detto Ndegwa Njiru, il suo avvocato, ai giornalisti.
Dalle proteste della scorsa estate, la Commissione nazionale keniota per i diritti umani (Knchr) ha registrato 82 casi di rapimenti, oltre agli oltre 60 morti nei giorni di protesta. A novembre, il presidente William Ruto ha provato a dare una sua personale lettura di questo dato: “Molti di questi casi sono stati risolti e altri si sono rivelati false informazioni. Inoltre, un buon numero di queste cosiddette persone scomparse sono state arrestate dalla polizia. In questi casi, i sospettati sono stati debitamente consegnati alla giustizia” ha detto, specificando di condannare “tutti gli atti extragiudiziali che mettono in pericolo la vita o la libertà di chiunque”. Una versione che non ha convinto: secondo la Knchr, decine di persone sarebbero ancora disperse ma la polizia keniana ha sempre negato il coinvolgimento dei suoi agenti nelle sparizioni forzate di attivisti e non sembrano essere state avviate indagini interne per chiarire questi aspetti e queste accuse. La settimana scorsa il giudice Mwamuye ha chiesto alla polizia di audire in aula i sei presunti autori dei rapimenti di questi attivisti o, in alternative, di “spiegare sotto giuramento” dove si trovano e che attività svolgono.
Molti gruppi e organizzazioni per i diritti umani sostengono che esista un’unità segreta dei servizi di intelligence e antiterrorismo dedita a queste attività, che per la legge keniana sono illegali. Il tema degli arresti illegali e dei rapimenti, tra l’altro, non è soltanto interno al Kenya ma rischia di allargarsi: Kizza Besigye, notissimo oppositore politico ugandese di 68 anni, è scomparso poco prima della presentazione del libro di un’oppositrice keniana, Martha Karua, evento stava per svolgersi nel quartiere Riverside di Nairobi lo scorso novembre.
Ieri, lunedì 13 gennaio, si è svolta una nuova udienza a suo carico presso la Corte marziale a Kampala, in Uganda: Besigye infatti è ricomparso qualche giorno dopo in manette di fronte alla Corte marziale nel suo Paese, l’Uganda, e nessuno ha ancora chiarito né le circostanze dell’arresto né quelle della sua estradizione. Questo caso “ha suscitato molto interesse sia nell’Africa orientale che in tutta l’Africa e nella comunità internazionale” ha dichiarato i primi di dicembre Martha Karua, che difenderà in tribunale l’amico Besigye. Secondo la moglie di Besigye, Winnie Byanyima, il politico ugandese è stato arrestato e caricato in macchina insieme ad agenti dell’intelligence ugandese, che hanno attraversato durante la notte il confine di Busia, tra Kenya e Uganda. “Quattro degli uomini hanno caricato lui e il suo compagno in un’auto e li hanno condotti per tutta la notte verso il confine con l’Uganda. Hanno attraversato il confine senza fermarsi. È stata chiaramente un’operazione ben pianificata” ha accusato Byanyima: il governo ugandese sostiene che il Kenya li ha aiutati nell’operazione ma Nairobi ha negato tutto.
Il caso di Besigye, dicevamo, non è l’unico: alla fine di luglio, 36 membri del Forum per il cambiamento democratico (Fdc), il partito creato da Besigye, sono stati arrestati nel Kenya occidentale e deportati in Uganda, dove sono stati accusati di “terrorismo”. Sono stati rilasciati su cauzione soltanto alla fine di ottobre. E di casi simili ce ne sono anche altri, meno noti ma altrettanto inquietanti: a ottobre, l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) si era detto “profondamente preoccupato” per il caso di quattro rifugiati turchi che, secondo gruppi per i diritti umani, erano stati rapiti nella capitale del Kenya e deportati in Turchia in violazione delle norme diritto internazionale.
Ora è stato il turno dell’attivista tanzaniana Maria Sarungi Tsehai è una convinta critica del presidente della Tanzania Samia Suluhu Hassan: esperta di comunicazione per Eisenhower fellowship, blogger e attivista, sostiene che il governo Hassan sia “democratico” solo di facciata e che invece la presidente voglia riportare “la tirannia” nel Paese dell’Africa orientale. Convinta sostenitrice dei diritti sulla terra e della libertà di espressione in Tanzania, Tsehai è vicina a molte posizioni delle piccole comunità rurali e indigene masai. Da mesi denuncia arresti arbitrari, sparizioni forzate e la morte di diversi esponenti dell’opposizione politica tanzaniana. Nel 2024 infatti decine di oppositori sono stati arrestati e alcuni sono stati brutalmente uccisi e un importante leader dell’opposizione è morto dopo essere stato cosparso di acido.
L’organizzazione Human rights watch ha descritto l’aumento degli arresti di attivisti dell’opposizione in Tanzania come un “cattivo segno” in vista delle elezioni presidenziali che si terranno a ottobre e Change Tanzania, un movimento fondato proprio da Tsehai, ha dichiarato su X di ritenere che l’attivista sia stata rapita da agenti di sicurezza tanzaniani “che operavano oltre i confini della Tanzania per mettere a tacere le legittime critiche del governo”. Change ha detto che il suo “coraggio nel difendere la giustizia l’ha resa un bersaglio”. Negli ultimi mesi, la stessa Tsehai aveva espresso preoccupazione per la sua sicurezza, denunciando un episodio in cui due uomini non identificati erano stati visti cercarla a casa sua mentre era assente.
Foto di apertura: Afp