Kenya: elezioni, tra timore violenze e fine presidenza etnia Kikuyu

di Valentina Milani

Di Valentina Giulia Milani

La popolazione keniana è chiamata alle urne domani per le elezioni generali che porranno fine alla presidenza di Uhuru Kenyatta, in carica dall’aprile 2013. Elezioni attese e contese che vedono due dei quattro candidati in lizza in netto vantaggio, senza però un chiaro favorito. Elezioni che, in ogni caso, segneranno una svolta ponendo fine a oltre vent’anni di presidenze di etnia kikuyu, la principale del Paese.

Il fatto che non ci sia un chiaro favorito alla vittoria dopo mesi di campagna elettorale fa onore alla competitività e alla relativa libertà dello spazio democratico, sottolineano alcuni osservatori ripresi dai media locali. Ma significa anche che saranno giorni di tensione fino a quando non si saprà chi governerà la potenza economica dell’Africa orientale e forse anche dopo.

La popolazione non dimentica infatti le animosità politiche che hanno scatenato le violenze elettorali del 2007, la cui ombra incombe anche in vista dell’appuntamento di domani, testimonia a condizione di anonimato una voce sul campo interpellata da InfoAfrica/Rivista Africa.

Con una popolazione di 48 milioni di abitanti, il Kenya ha 22,1 milioni di elettori registrati che potranno votare per il presidente, ma anche per i parlamentari, i governatori e circa 1500 amministratori locali. Quasi il 40% degli iscritti nelle liste elettorali di questi sono giovani con meno di 34 anni, secondo i dati ripresi dalla stampa locale.

Uno dei due candidati principali è Raila Odinga, di etnia luo, già primo ministro tra il 2008 e il 2013 ed ex leader dell’opposizione ora sostenuto dal presidente uscente Uhuru Kenyatta. Il veterano politico keniano, 77 anni, si presenta alle elezioni per la quinta volta. Già due volte ha sfiorato la vittoria. Il risultato delle elezioni del 2007 è stato fortemente contestato e ha portato a violenze diffuse. Odinga è il figlio del primo vicepresidente del Kenya post-indipendenza, Jaramogi Oginga Odinga.

L’altro candidato in lizza è William Ruto, 55 anni, di etnia kalenjin, vicepresidente in carica da quasi dieci anni. E’ leader dell’Alleanza Democratica Unita (United Democratic Alliance), il principale della coalizione Kenya Kwanza. E’ stato il delfino del presidente in carica Kenyatta che lo aveva designato come suo successore fino a quando, già nel 2018, è stato messo da parte da un’alleanza inaspettata tra Kenyatta e Odinga che è diventato così candidato del presidente uscente.

George Wajackoyah del Roots Party e David Waihiga dell’Agano Party sono gli altri due aspiranti presidenti, la cui candidatura è però considerata marginale. I candidati marginali svolgono un ruolo significativo nel testare la maturità degli spazi democratici, secondo osservatori locali. “Le loro ideologie e convinzioni, spesso atipiche, offrono alle democrazie una pausa dai temi politici abituali”, si legge sulle testate locali.

La popolazione teme scontri e tensioni”, riferisce a InfoAfrica/Rivista Africa la fonte anonima che vive nella contea di Bomet, a un centinaio di chilometi da Kisumu, nella Rift Valley, la zona che nel 2007 fu maggiormente interessata dalle violenze post elettorali che provocarono più di 1100 morti, principalmente negli scontri tra kikuyu e kalenjin.

“Ci sono scambi di parole amare tra i leader in corsa che fomentano l’odio tra le persone”, spiega la fonte le cui preoccupazioni sono confermate dalla Commissione nazionale per la coesione e l’integrità (Ncic), un organismo di promozione della pace creato dopo le violenze del 2007-2008, che ha stimato in un recente rapporto che la probabilità di violenze nel periodo elettorale è del 53%.

Anche la Commissione africana per i diritti umani e dei popoli (Commissione africana), è allarmata dalle notizie di “crescenti tensioni politiche e di rischi ed episodi di violenza, di incitamento all’odio e di produzione e diffusione di contenuti che incitano alla divisione e alla violenza durante la campagna elettorale”, si legge in una nota.

Tra i due contendenti in lizza, tra le manovre di palazzo che hanno caratterizzato la politica keniana negli ultimi anni e tra i timori di possibili tensioni, vi è la popolazione keniana che deve fare i conti con profonde disuguaglianze: secondo la ong Oxfam, il patrimonio dei due keniani più ricchi è maggiore del reddito combinato del 30% della popolazione, ovvero 16,5 milioni di persone. 

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