Sono numerosi i siti africani dichiarati dall’Unesco Patrimonio dell’umanità che attualmente sono inseriti in una apposita lista che li dichiara a rischio sopravvivenza. Si tratta di riserve naturali e di luoghi culturali, minacciati dai comportamenti umani o dai cambiamenti climatici. Tra questi ci sono i parchi naturali del lago Turkana in Kenya, messi in pericolo dalla costruzione della diga idroelettrica Gibe III
di Mario Ghirardi
Da tre anni ormai i parchi naturali del lago Turkana in Kenya, entrati a far parte dei siti Patrimonio dell’Umanità per volontà dell’Unesco nel lontano 1997, sono considerati dalla stessa Unesco tra quelli in pericolo di sopravvivenza. Motivo del rischio è l’alterazione dell’ecosistema delle acque fluviali causato dalla costruzione della diga idroelettrica Gibe III della potenza di 1870 MW, che fa parte di un complesso sistema di sbarramenti fluviali, con due altre dighe già costruite e altrettante in progetto nella confinante Etiopia. La sua capacità è di quasi 12 miliardi di metri cubi d’acqua per un bacino di 210 km quadrati di superficie, lungo 151 Km. Il costo è stato stimato sul miliardo e mezzo di euro.
L’edificazione del gigantesco manufatto alto 250 metri fu iniziata nel 2006 e portata a compimento quasi nove anni dopo dall’impresa italiana di costruzioni Salini spa, in terra d’Etiopia grazie ad un enorme investimento finanziario con risorse messe a disposizione tra gli altri anche dalla Banca europea per gli investimenti (BEI), dalla Banca Africana di sviluppo e dallo stesso Governo italiano, insieme a quelli etiopi e kenioti. Questi due ultimi governi hanno stipulato in origine un accordo per l’acquisto di 500 MW di energia elettrica da parte del Kenya. Le associazioni ambientaliste come Survival International, International Rivers e Human Rights Watch, contestano da anni però il ritardato arrivo in parallelo di un piano che tuteli il territorio della bassa valle dell’Omo e chi ci vive, indigeni che hanno potuto esprimersi sulla scelta per loro devastante soltanto durante rari e tardivi colloqui di capi tribù. L’altrettanto tardivo studio d’impatto ambientale risultante minimizza a torto, insistono le organizzazioni umanitarie, ogni rischio relativo a sostentamento e salute della popolazione locale. Una vicenda che appare come la più recente fotocopia di troppe altre viste in Africa, purtroppo simili nei tempi, nei modi e nell’epilogo.
L’Italia è protagonista importante della vicenda. Nel 2004 prima cancellò il debito dell’Etiopia di 332 milioni di euro nei suoi confronti e subito dopo la Cooperazione Italiana allo Sviluppo finanziò il progetto della gemella diga Gibel Gibe 2 con 220 milioni di euro, la più alta cifra mai messa a disposizione sino ad allora per interventi di questo tipo. La magistratura aprì un’indagine che si concluse senza nulla di fatto nel 2008. Nel frattempo si è andati avanti con questo ulteriore finanziamento che potrebbe raggiungere i 250 milioni di euro.
Popolazione e ambiente a rischio
La diga sbarra il corso del fiume Omo, che alimenta da solo per il 90 per cento il lago Turkana, sito proprio al confine tra Etiopia e Kenia, attorno al quale vivono oltre 300 mila persone, la cui vita dipende direttamente dalle acque del lago. Secondo ‘International Rivers’ però a rischio sarebbero almeno altri 200 mila indigeni, equamente ripartiti tra coloro che abitano nella bassa valle dell’Omo e che sfruttano il ciclo delle piene del fiume per le coltivazioni e coloro che sono anch’essi dipendenti dalle esondazioni per il pascolo o il commercio dei prodotti agricoli. Quei popoli si chiamano Turkana, Dassanach, Kara, Mursi, Gabbra, Elmolo, Nyagatom, Kewgu, Bodi, tanto per citarne solo alcuni. L’Unesco, preoccupata proprio di tutelare le popolazioni locali e l’ambiente naturale, continua infatti non a caso a mantenere il sito tra quei 53 valutati in pericolo a livello mondiale, di cui ben 16 si trovano in Africa, dunque quasi un terzo del totale, anche se va aggiunto che in quest’ultimo anno e mezzo le riunioni dell’apposita Commissione sono state pesantemente condizionate negli aggiornamenti dalla pandemia.
I parchi nazionali del lago Turkana sono situati in Kenya e sono importanti non solo per garantire la vita agli indigeni, ma sono anche indispensabile punto di tappa nel volo degli uccelli migratori e oasi di riproduzione per coccodrilli, ippopotami e serpenti, senza contare i reperti fossili di ominidi unici al mondo di Koobi Fora trovati in zona. Sono composti in particolare di tre parti, il Sibiloi e due delle tre isole che si trovano all’interno del lago principale, la Central e la South. Quest’ultimo, che ha una superficie di ben 6400 km quadrati ed è lungo 290 Km e largo 32, è conosciuto anche come lago Rodolfo, in onore dell’imperatore austroungarico alla cui nazione appartenevano Teleki e Von Hohnel, primi esploratori a raggiungerne le sponde nel 1888. Ancora oggi il luogo, a cui sono stati dedicati alcuni capitoli nei romanzi di Kuki Gallmann, è particolarmente isolato, visto che per raggiungerlo in auto da Nairobi occorrono quasi tre giorni di viaggio. Uno dei tre affluenti del lago è appunto il fiume Omo, insieme al Turwell e al Kerio: il loro apporto d’acqua ne fa il più grande lago permanente al mondo situato in luogo desertico. E’ un bacino chiuso, dalla sabbia scura, le cui acque, che evaporano a causa delle altissime temperature della zona, sono calde e leggermente salate.
L’imponenza dei progetti idroelettrici condiziona pesantemente questi parchi naturali, ma l’Etiopia punta molto sulla vendita di energia idroelettrica all’estero e per usi interni e non si tira indietro nell’implementare l’ambizioso sviluppo delle dighe. Del resto sono sempre d’attualità anche le dispute sull’uso delle acque del Nilo tra Egitto, Sudan e la stessa Etiopia, fautrice del progetto della ‘Grand Ethiopian Renaissance Dam’, capace almeno in teoria di produrre effetti altrettanto devastanti sulle popolazioni locali, oltrechè scatenare conflitti internazionali.
Secondo l’ultimo rapporto disponibile di due anni fa pubblicato dallo statunitense Oakland Institute, centro studi della California, e ripreso dalla rivista ‘Nigrizia’, il temuto peggioramento delle condizioni di vita delle tribù indigene della valle dell’Omo e del lago Turkana è ormai consolidato. La compensazione principale sin qui realizzata consiste nella creazione di piantagioni di canna da zucchero, che però non sono estese quanto promesso, né hanno impiegato tanti braccianti quanti previsti. Molti lavoratori oltretutto vengono da lontano, le comunità locali si sono divise al loro interno tra chi approva e chi contesta il nuovo ‘agribusiness’ che si avvale dell’acqua fornita dalla diga per l’irrigazione delle piantagioni; molti sarebbero stati i ricollocamenti anche forzati di popolazione verso nuovi villaggi, mentre le tribù nomadi hanno dovuto abbandonare i tradizionali spostamenti. Gli aiuti alimentari si sono intanto drasticamente ridotti e molti soffrono la fame. I campi non riescono a garantire l’accesso al cibo per tutti e mancherebbero ancora servizi adeguati, dai canali d’irrigazione alle scuole e ai servizi sanitari. Altre promesse disattese.
(Mario Ghirardi)